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Il recente rapporto di Mario Draghi sulla competitività dell'Unione Europea ha segnato un passaggio centrale per il futuro politico ed economico dell’area.
Con il suo leggendario “Whatever it takes”, Mario Draghi è considerato il salvatore dell'euro. La promessa dell'allora Presidente della Banca Centrale Europea di fare tutto il necessario per preservare la moneta unica ha segnato la svolta nella crisi del debito europeo nel 2012.
Inflazione, guerra, crisi energetica: il 2022 è stato un anno molto complicato per l’economia e per i mercati finanziari.
Dopo anni di stagnazione dei prezzi e tendenze parzialmente deflazionistiche, l’inflazione torna di colpo ad alzare la testa. Per le Banche centrali, questo improvviso andamento si sta trasformando in un nuovo grattacapo.
Mentre la pandemia continua a tenere il mondo con il fiato sospeso, lo sguardo degli operatori si sposta via via sempre di più sui temi dell’autunno. Tante sono le incognite, ma all’orizzonte si sta profilando anche un nuovo trend che presenta una dinamica ancora poco esplorata. Parliamo dei prezzi delle materie prime.
La pausa estiva è sempre motivo di allerta per operatori e investitori. Negli ultimi tempi i mesi più caldi dell’anno sono stati tutt’altro che un’occasione di riposo per le Borse. Solo per fare qualche esempio, la crisi dei subprime del 2008 ha mandato all’aria le ferie di molti money manager in tutto il mondo. Altrettanto è successo nel 2011 con i guai sui debiti sovrani.
Per il Vecchio Continente si avvicina il momento delle decisioni. Dopo mesi di discussioni e incagli, a metà luglio (17 e 18) si terrà a Bruxelles il summit dei leader Ue. L’atteso appuntamento dovrebbe rendere più concreto il Recovery Fund, il fondo per la ripresa da 750-500 miliardi di euro voluto da Germania e Francia con l’obiettivo di risollevare le sorti dell’economia europea alle prese con l’emergenza Covid.
I mercati finanziari, si sa, guardano sempre avanti. In questi giorni stanno già provando a immaginare come saranno i mesi che arriveranno dopo la fase più critica della pandemia. Se le notizie di marzo sui numeri tragici del Coronavirus avevano mandato in tilt le Borse, ora inizia a comparire un po’ di fiducia nel futuro dell’economia.
L’emergenza Coronavirus ha portato con sé anche un’inconsueta serie di violente oscillazioni sui mercati. Mai era successo che a picchi di rialzi, anche sopra al 10%, seguissero subito repentine ricadute di altrettanta entità.
L’irruzione del Coronavirus sulla scena globale ha costretto i mercati finanziari a una brusca penitenza. Reduci dall’euforia dei nuovi massimi, di colpo hanno dovuto piegare la testa al diluvio incontrollato delle vendite. In queste ore è difficile valutare a fondo l’evolvere del quadro.
Le discussioni sul clima hanno dominato la scena globale in quest’ultima parte di settembre. La lotta ai cambiamenti climatici è ripartita dal summit dell’Onu a New York dove 66 Paesi, 102 città e 93 imprese si sono impegnati a raggiungere zero emissioni entro il 2050.
Gli investitori si preparano alla pausa estiva accompagnati da una raffica di notizie positive che hanno rasserenato il clima sui mercati, anche se non sono del tutto fugati i timori che il sereno possa lasciar spazio alle nuvole.
La guerra commerciale tra Usa e Cina continua a dominare l’andamento dei mercati. In particolare, il tweet di Donald Trump del 5 maggio scorso ha segnato una nuova escalation nella disputa che, ormai, dura da più di un anno. Probabilmente questo tweet troverà posto nei libri di storia.
Nella famosa favola «Riccioli d’oro e i tre orsi», la piccola Riccioli d’oro, che si è introdotta di nascosto nella casa dei tre orsi, si serve della loro colazione pronta sulla tavola. Ha di fronte a sé tre piatti, li assaggia tutti e sceglie quello con la zuppa che «va bene», vale a dire quella né troppo calda, né troppo fredda.
Il mese di gennaio ha sorpreso con un ritorno alla calma sui mercati finanziari. Archiviati gli eccessi di vendite, che avevano agitato la fine del 2018, adesso gli operatori sembrano aver di nuovo ritrovato fiducia.
Che i mercati finanziari offrano sempre opportunità di guadagno è una convinzione di molti, messa a dura prova da un anno, il 2018, che sarà ricordato come uno dei più difficili del dopoguerra.
Gli ultimi mesi dell’anno sono dominati dal nervosismo sui listini globali. Le preoccupazioni che tengono in allerta gli operatori non sono poche e la gran parte di queste sarà centrale anche nel nuovo anno.
L’economia ha ripreso a marciare un po’ ovunque. Le Banche centrali continuano a immettere denaro a sostegno della crescita.
Accanto al consueto divenire delle statistiche sull’economia uno dei temi dominanti in questa fase è l’evoluzione del quadro politico. In particolare sono da segnalare importanti passi in avanti per la riforma fiscale USA, fortemente voluta da Donald Trump.
Le dichiarazioni della Fed riguardanti la riunione del 19-20 settembre sono state lette come più accomodanti rispetto alle altre recenti comunicazioni della banca centrale.
La crescita rimane al di sopra del potenziale, in un intorno del 2,5%, grazie a consumi e investimenti. I recenti uragani causeranno volatilità ai dati trimestrali ma senza mutare il trend di fondo, sostenuto da elevati livelli di fiducia e dal mercato del lavoro.
Negli Stati Uniti, dal punto di vista macro non si segnalano novità rilevanti, fatta eccezione per l’ennesima lettura dell’inflazione al di sotto delle attese. Sul fronte politico la testimonianza dell'ex direttore del FBI Comey davanti al Senato si è rivelata meno compromettente per Trump di quanto potenzialmente avrebbe potuto essere.
La riunione della FED di aprile ha lasciato i tassi invariati indicando fiducia nell'outlook economico, attribuendo alla debolezza del primo trimestre solo un effetto temporaneo, con il trend di crescita dei consumi che rimane solido.
I dati macro faticano a tenere il passo dell’ottimismo segnalato dagli indicatori stimati attraverso sondaggi. Nello specifico, l’inflazione risulta leggermente al di sotto del consenso e in ribasso rispetto ai massimi registrati recentemente.
I due eventi più importanti delle ultime settimane sono stati la riunione della BCE del 9 marzo e i dati sul mercato del lavoro USA. Negli Stati Uniti il mercato del lavoro rimane solido, con 235mila nuovi assunti e il tasso di disoccupazione al 4.7% (con l’aumento del tasso di partecipazione e delle paghe orarie).
L’economia americana continua a fornire segnali di solidità. Recentemente le conferme sono venute dal mercato del lavoro e dalla fiducia degli imprenditori manifatturieri.
Lo stimolo fiscale promesso da Trump calerà su un’economia che già si trova in uno stato di piena occupazione. Questo fatto da solo, anche non considerando gli effetti di possibili misure protezionistiche o di riduzione degli immigrati illegali, dovrebbe portare a un surriscaldamento dell’economia e a una ripresa dei salari (già in trend positivo).
Mercato del lavoro e indice ISM sono risultati sotto le attese, mettendo in forse, nel consenso di mercato, un’azione della FED entro l’anno.
L’esito del FOMC, decisamente dovish, ha contribuito alla traslazione verso il basso di tutta la curva dei Treasury. Non solo una significativa minoranza dei membri del direttivo si attende ora un unico rialzo per il 2016, ma anche le aspettative sui tassi del FOMC per il 2017 e 2018 sono state riviste al ribasso.
Dati americani stabili, anche se l’esito deludente delle ultime statistiche sui nuovi occupati ha portato il mercato ad escludere un rialzo dei tassi a giugno, eventualità che le ultime minute delle FED e alcuni dati recenti superiori alle attese (vendite al dettaglio, produzione industriale) avevano riportato all’attenzione degli operatori.
Nonostante il parere contrario di una serie di commentatori, i modelli a più fattori elaborati dalla FED non segnalano un elevato rischio recessione, visione coerente con l’assenza di squilibri particolarmente marcati nei conti del settore privato.
Il nostro scenario base è quello di un moderato ciclo di rialzo dei tassi da parte della FED (di entità minore di quanto desunto dalle minute della banca centrale, ma maggiore dell’aspettativa corrente di mercato) dato che il contesto di crescita e inflazione non dovrebbe essere tale da indurre ad azioni restrittive più marcate.
Accantonati i timori sulla stabilità dei mercati finanziari internazionali e sul ciclo degli emergenti la FED si è concentrata sulle dinamiche interne.
Le retail sales e la fiducia del settore immobiliare evidenziano la tenuta del settore domestico, mentre i dati regionali dei PMI mostrano la situazione di debolezza della manifattura.
Il flusso di dati continua a deludere le attese. Archiviato il PIL del primo trimestre con una modesta contrazione dovremmo assistere ad un rimbalzo della crescita nel secondo trimestre dell’anno. Tuttavia l’entità sarà modesta perché dollaro debole e calo degli investimenti nel settore petrolifero non trovano nei consumi delle famiglie un’adeguata compensazione.
Il rimbalzo delle vendite al dettaglio a marzo dà credito all’ipotesi di consenso, condivisa dalla FED, che il rallentamento USA nel primo trimestre sia frutto di fattori transitori quali le tempeste di neve nel nord est quest’inverno e lo sciopero dei porti nell’ovest.
I progressi realizzati dal mercato del lavoro sono l’elemento più vitale dell’economia USA in questo inizio anno. I consumi a causa di una inspiegabile salita del tasso di risparmio non hanno risposto in maniera coerente.
Recentemente le statistiche sulla crescita hanno deluso le attese. Nulla che abbia portato a rivedere lo scenario per il 2015, ma indicazione che forse i tassi attuali di crescita del PIL al 3% possono eccedere il nuovo potenziale dell’economia americana nell’era post Grande Recessione.
Settimana ricca di dati nel complesso al di sotto delle attese, sia per quanto riguarda la crescita che l’inflazione. L’evento che però ha mosso maggiormente i mercati è stato l’esito del FOMC, l’ultimo dell’anno.
Come ogni prima settimana del mese i dati più rilevanti riguardano la fiducia degli imprenditori manifatturieri (ISM) e lo stato di salute del mercato del lavoro.
Per quanto concerne la crescita non vi sono novità di rilievo da segnalare: indicatori anticipatori e statistiche di economia reale sono concordi nel delineare un profilo di espansione del PIL per i prossimi trimestri in area 3%.
I dati economici americani hanno inequivocabilmente deluso le attese. Iniziando dal settimanale e quindi più volatile dato sui sussidi alla disoccupazione, per poi passare al secondo calo mensile consecutivo degli ordinativi di beni durevoli (che non getta una buona luce per gli investimenti di Q4) e terminare con le statistiche relative al consumi (in calo la fiducia e sotto le attese la spesa per ottobre).
Nessuna novità di rilievo per quanto riguarda la crescita, con gli indicatori anticipatori e le statistiche di economia reale concordi nel segnalare un’espansione del PIL in area 3%.
La violenta fase di avversione al rischio di questi giorni è dovuta in primo luogo ad un sentiment fortemente negativo sulle prospettive di crescita mondiali, incentrato soprattutto sull’Europa ma presto propagatosi a tutte le altre macro aree, fino a lambire gli Stati Uniti.
Grazie soprattutto alla tenuta degli USA la crescita globale quest’anno non scenderà molto rispetto a quella dello scorso anno, nonostante il rallentamento degli emergenti e le recenti delusioni delle aspettative nell’area euro.
Lo scenario americano attualmente presenta una lettura relativamente chiara: dal punto di vista della crescita, archiviati un pessimo primo trimestre e il rimbalzo nel secondo, l’economia nel terzo trimestre dovrebbe crescere in un intorno del 3% data la buona intonazione sia degli indicatori anticipatori che di quelli relativi ai consumi.
La settimana americana è stata densa di eventi. Dal lato della politica monetaria i commenti della FED allo scenario per crescita ed inflazione sono da considerarsi a nostro avviso leggermente più guardinghi del previsto, dato che si è riconosciuto come l’inflazione sia ora più vicina al target di riferimento, e che sia sceso di molto il rischio di deflazione.
Settimana molto “leggera” per quanto riguarda i dati macro, per cui vi è da segnalare unicamente il modesto arretramento della fiducia per le imprese di piccola e media dimensione.
Dopo la netta revisione al ribasso del PIL americano dei primi tre mesi dell’anno (-2,9% trimestre su trimestre annualizzato), i dati più recenti continuano a supportare la tesi di un rimbalzo nel secondo trimestre.
I dati della settimana non sono stati particolarmente informativi, dato che hanno confermato le tendenze già presenti nel recente passato.
Dai dati sempre molto attesi dai mercati riguardanti il mercato del lavoro sono giunte conferme circa il quadro congiunturale USA: la crescita occupazionale media mensile permane nell’intorno delle 200 mila unità, con un tasso di disoccupazione al 6,3% e un’accelerazione delle retribuzioni in area 2%.
L’inaspettata contrazione del PIL nel Q1 a causa del maltempo, unitamente ad una ripresa che non sembra eccezionalmente vigorosa, rendono difficilmente raggiungibile l’obiettivo del 3% di crescita media annua ipotizzato dalla banca centrale e dai mercati ad inizio anno.
Settimana molto densa per quanto riguarda le statistiche macro USA, anche se l’esito complessivo, almeno per quanto riguarda lo scenario sulla crescita economica non è stato tale da apportare variazioni allo scenario di riferimento.
Banche centrali alla ribalta in queste prime settimane di maggio. La FED ha mantenuto un tono accomodante, indicando che l’economia nel 2014 risulterà in accelerazione rispetto allo scorso anno, ma nel contempo evidenziando come siano presenti ancora sacche di debolezza nel mercato del lavoro e una certa moderazione nell’attivitàm edilizia.
Banche centrali alla ribalta in queste prime settimane di maggio. La FED ha mantenuto un tono accomodante, indicando che l’economia nel 2014 risulterà in accelerazione rispetto allo scorso anno, ma nel contempo evidenziando come siano presenti ancora sacche di debolezza nel mercato del lavoro e una certa moderazione nell’attività edilizia.
Notizie positive sono giunte dai consumi delle famiglie e dalla fiducia degli imprenditori manifatturieri, anche se quest’ultima non si è ripresa del tutto dallo shock dello scorso mese in buona parte imputabile al maltempo.
I dati sulle vendite di nuove abitazioni, sulla fiducia dei consumatori e quelli sugli ordinativi di beni durevoli sembrano confermare che il maltempo sia stato all’origine delle letture al ribasso dei dati sulla crescita dello scorso mese.
Un’altra statistica importante di gennaio, le vendite al dettaglio, ha deluso le attese. Anche in questo caso “il principale sospetto” sono state le avverse condizioni metereologiche verificatesi nel primo mese dell’anno sulla costa est.
Le due statistiche mensili più rilevanti, il sondaggio di fiducia sul settore manifatturiero ISM e quella relativa al numero di nuovi occupati hanno deluso le attese in misura significativa.
Come da attese la FED ha ridotto di altri 10 mld di dollari il ritmo di acquisto di obbligazioni sul mercato, proseguendo nel processo di assorbimento dello stimolo quantitativo, il cosiddetto “tapering”.
Il numero di statistiche macroeconomiche diffuse in settimana è stato di una certa entità, anche se una visione di sintesi dei numeri non porta a introdurre elementi di novità nello scenario delineato nelle scorse settimane.
A cavallo d’anno importanti dati di economia reale come le statistiche sui consumi delle famiglie e gli investimenti delle imprese hanno fatto registrare un’accelerazione tale da rendere altamente probabile una lettura del tasso di crescita atteso del PIL nel Q4 ’13 e nel Q1 ’14 in media al 3%, validando quelli che erano i segnali forniti dagli indicatori anticipatori e ribaditi in settimana dall’indice ISM manifatturiero.
Archiviato il terzo trimestre con un progresso del 4,1% (rispetto al trimestre precedente, dato annualizzato) l’anno dovrebbe chiudersi in tono minore, grazie al venir meno di parte dell’effetto scorte.
I dati di maggior interesse sono stati quelli relativi al PIL del terzo trimestre, risultato in accelerazione (2,8% trimestrale annualizzato) rispetto alla media del 2% a cui si è mossa l’economia americana da dopo la recessione e quelli relativi al mercato del lavoro.
Il tanto atteso accordo tra Democratici e Repubblicani è stato finalmente raggiunto, con una capitolazione di questi ultimi alle pressioni provenienti dal mondo degli affari e dalla maggioranza degli elettori.
In una settimana non particolarmente ricca dal punto di vista dell’evidenza macro le parole della FED hanno ancora condizionato in misura significativa la dinamica dei mercati finanziari.
Il tema del momento negli USA, ed anche sui mercati finanziari, è la possibilità o meno che la FED riduca il ritmo di acquisti di obbligazioni (QE3) già prima della fine dell’anno.
Con il passare dei mesi sembra che l’economia americana stia reggendo bene allo shock fiscale di inizio anno. Questo messaggio risulta avvalorato dalle numerose statistiche diffuse in settimana, in cui vi è stato un progresso sopra alle attese degli indicatori di fiducia della piccole e media impresa, del settore immobiliare e nella fiducia dei consumatori.
Il contesto complessivo nel periodo di riferimento, non solo per gli USA, è quello di dati sulla crescita in linea se non al di sotto delle aspettative (uniche eccezioni un paio di statistiche europee e italiane e i dati giapponesi), inflazione in moderazione e ampio supporto delle banche centrali.
Sarà una coincidenza ma anche quest’anno l’avvio della primavera è coinciso con una serie di letture negative sugli indicatori di crescita. ISM manifatturiero e non, sussidi alla disoccupazione e mercato del lavoro hanno deluso le attese.
Il combinato disposto di nuova evidenza statistica e flusso di notizie inerenti la dinamica della stretta fiscale sta modificando le aspettative di consenso circa il profilo di crescita dell’economia USA.
Nel periodo di riferimento, per quanto riguarda l’economia reale abbiamo avuto indicazioni sulla dinamica dei consumi e degli investimenti, mentre per quanto riguarda i livelli di fiducia abbiamo avuto le letture di febbraio per l’ISM (settore manifatturiero) e la consumer confidence.
Settimana decisamente “leggera” per quanto riguarda i dati macro. Ne consegue che dal punto di vista dell’analisi di breve periodo non vi sono novità da segnalare. Con i dati di dicembre sull’occupazione, PIL e produttività possiamo confrontare i trend complessivi emersi nel 2012 rispetto a quanto osservatosi negli anni precedenti.
Inaspettatamente il PIL americano del quarto trimestre 2012 ha fatto registrare una contenutissima variazione negativa, (-0,1 trimestrale annualizzato), rispetto ad un consenso posizionato per una crescita in un intorno dell’1%.
L’avvio d’anno si caratterizza per un miglioramento degli indicatori di fiducia a livello mondiale, come illustrato dal grafico, che mette in relazione la fiducia degli imprenditori manifatturieri e la dinamica del PIL mondiale.
La revisione al rialzo del PIL USA del terzo trimestre è stata quantitativamente significativa, (passando dal 2% trimestrale annualizzato al 2,7%) ma qualitativamente deludente in quanto dovuta a dati superiori alle precedenti stime per quanto riguarda scorte e consumi pubblici.
Come al solito la prima settimana del mese contiene due tra le statistiche congiunturali più rilevanti per quanto riguarda l’economia USA: l’indice di fiducia del settore manifatturiero ISM e i dati sul mercato del lavoro.
Settimana molto ricca per quanto riguarda le statistiche americane, con dati anche significativamente divergenti tra di loro. Al considerevole balzo in avanti della fiducia dei consumatori e al calo dei sussidi alla disoccupazione si è contrapposta la peggior contrazione mensile (-13.2%) da quando è disponibile la serie storica degli ordinativi di beni durevoli.
La settimana non è stata povera di dati macro, con le statistiche sulla fiducia nel settore della piccola media impresa, la fiducia dei consumatori e le vendite al dettaglio.
Durante il mese di agosto il flusso di dati macro ha sostanzialmente riconfermato le tendenze presenti all’inizio dell’estate: l’economia americana continua a muoversi lungo un sentiero di crescita decisamente contenuto (intorno al 2%) sorretta in principal modo dalla dinamica dei consumi.
A inizio anno gli aspetti positivi dell’economia americana erano soprattutto da ricercarsi in una certa vitalità del settore manifatturiero (si veda il grafico sopra riportato) e in segali di stabilizzazione sul mercato immobiliare.
I dati di economia reale diffusi questa settimana contribuiscono ad affinare la previsione per il PIL del secondo trimestre che dovrebbe fare registrare un progresso contenuto dell’ordine del 2% trimestrale annualizzato.
Sia negli Stati Uniti che in Europa gli eventi più importanti della settimana sono stati i comitati di politica monetaria delle diverse banche centrali. In generale l’atteggiamento delle banche centrali occidentali (FED, BCE e BoE) sembra quello di non aver remore ad agire qualora il contesto dovesse ulteriormente peggiorare.
In settimana sono state rese note alcune tra le più importanti statistiche mensili, quelle relative al mercato del lavoro e quelle sulla fiducia degli imprenditori manifatturieri sintetizzata dall’indice ISM.
Nel corso delle ultime settimane sono state pubblicate alcune tra le più rilevanti statistiche mensili, come gli indici ISM manifatturiero e non, gli ordinativi di beni durevoli, i redditi e consumi personali di marzo e i dati sul mercato del lavoro.
Settimana ricca di statistiche macro, soprattutto per quanto riguarda l’economia reale. I dati sugli ordinativi di beni durevoli, dopo alcuni mesi di stagnazione sono risultati in progresso nella lettura di febbraio, rendendo verosimile un contributo positivo degli investimenti per il Q1.
I dati mensili sull’economia USA continuano ad essere moderatamente favorevoli, tanto che le case di investimento che si collocavano nella parte bassa della forchetta di consenso hanno rivisto leggermente al rialzo le stime per il primo trimestre a valori prossimi al 1,5% rispetto al precedente 1%.
Le statistiche macro più rilevanti della settimana sono state quelle relative al mercato del lavoro. L’esito del sondaggio è stato nel complesso favorevole, con una creazione di occupati superiore alle attese, revisioni al rialzo dei dati precedenti e tenuta del tasso di disoccupazione dopo i vistosi ribassi dei mesi scorsi.
Sia le statistiche di economia reale che i dati di sentiment diffusi in settimana sono risultati al di sotto delle attese in taluni casi anche in misura significativa. I dati di gennaio per investimenti e consumi descrivono un avvio del primo trimestre 2012 in sordina.
In settimana non vi sono stati dati rilevanti per quanto riguarda gli Stati Uniti, fatta eccezione per il dato in calo della fiducia dei consumatori. Il mercato del lavoro USA Dopo l’esito sorprendente dei dati sul mercato del lavoro della scorsa settimana il focus rimane puntato su questa importante variabile economica.
Recentemente i dati americani sono risultati nel complesso al di sotto delle aspettative, come mostra il grafico sotto riportato. Tuttavia a nostro avviso questo è avvenuto più per un aumento delle aspettative a seguito di dati macro più favorevoli che non per un deterioramento delle statistiche recenti. Infatti anche questa settimana il trend sottostante dell’evidenza macroeconomica è risultato favorevole, semplicemente le aspettative si erano posizionate su livelli elevati e quindi si sono verificate delle parziali delusioni.
Il periodo a cavallo d’anno ha visto il proseguimento del trend favorevole per quanto riguarda i dati macro americani. Dall’occupazione sono giunte notizie positive dauna pluralità di indicatori: è proseguito il trend di discesa delle richieste di sussidi di disoccupazione, sono aumentati oltre la soglia dei 200mila i posti di lavoro generati nell’ultimo mese e si è ridotto il tasso di disoccupazione al 8,2%.
Il periodo a cavallo d’anno ha visto il proseguimento del trend favorevole per quanto riguarda i dati macro americani. Dall’occupazione sono giunte notizie positive dauna pluralità di indicatori: è proseguito il trend di discesa delle richieste di sussidi di disoccupazione, sono aumentati oltre la soglia dei 200mila i posti di lavoro generati nell’ultimo mese e si è ridotto il tasso di disoccupazione al 8,2%.
Una ringhiera circolare attorno alla quale si accalca una folla di persone e grida accompagnate da gesti. Sono queste le immagini che caratterizzano i concitati momenti della negoziazione che vedevano come protagonisti gli agenti di cambio.
Il presidente di AIPB, aprendo la Wealth Management Conference 2023 - Private for Future, organizzata da Advisor Private, si è concentrata sui numeri attuali del settore e sul futuro ha sottolineato il ruolo che avrà l’utilizzo dei dati da parte del banker per avere più tempo per i clienti. La crescita del private banking non conosce ostacoli. Federico Taddei, Direttore Private Banking Ersel, ha partecipato all'evento.
Negli ultimi anni gli istituti del nostro Paese hanno quasi raddoppiato i loro livelli medi di patrimonializzazione. Il percorso più probabile è quello di una maggior restrizione del canale del credito. Parla Andrea Rotti, Amministratore Delegato Ersel, a La Stampa.
La recente crisi nel settore bancario ha accelerato la trasmissione della politica monetaria restrittiva e determinerà un rallentamento della crescita. Ma dopo l'iniziale sbandamento, i mercati sono ripartiti bene, in particolare quelli azionari, mentre i titoli di Stato scontano un progressivo allentamento da parte delle banche centrali, che ha sostenuto gli spread. Ne parla Federico Taddei, Direttore Private Banking Ersel, a Milano Finanza.
L'aumento dei tassi d'interesse ridà appeal all'obbligazionario. «Le cedole, con un rischio moderato, sono tornate sopra al target di inflazione della Bce», parla Federico Taddei, Direttore Private Banking Ersel.
Attenzione a dove va l'inflazione. É premiante saper trasferire gli aumenti dei costi ai clienti. Ne parla Giorgio Bensa, Responsabile delle Gestioni Patrimoniali del Gruppo Ersel, a Milano Finanza.
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In Borsa ha vinto chi non si è fatto prendere dal panico. Bisogna essere pronti per le fasi di rimbalzo. Ne parla Andrea Nascè, Direttore Investimenti Ersel, a La Stampa.
Dopo Mario Draghi inizia una nuova era alla Bce; è stata posticipata l'applicazione della Brexit e c'è una forte situazione di tensione commerciale generata dall'amministrazione Trump: come questi effetti influenzano il settore? La risposta di Andrea Rotti, Amministratore Delegato di Ersel.
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In questi giorni d’incertezza sugli esiti della Brexit e di timori per le elezioni europee alle porte, l’Europa è costretta a confrontarsi su vari fronti: da una parte ci sono i moniti della Bce “pronta a definire tutti gli strumenti” necessari per riportare l’inflazione vicino ma sotto al 2%.
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