Passa a
Nel corso dell’ultimo mese, l’economia statunitense ha mostrato segnali contrastanti che richiedono un’attenta valutazione. Sul fronte congiunturale, i dati sull’economia reale continuano a rivelarsi robusti. In particolare, il mercato del lavoro ha dato prova di solidità, con le nuove buste paga non agricole di aprile che hanno superato le attese, attestandosi a +177 mila unità. Anche i consumi privati, componente centrale della domanda interna, hanno mostrato una buona tenuta nel primo trimestre, nonostante le distorsioni sul PIL derivanti dall’aumento straordinario delle importazioni, effetto diretto del cosiddetto “front loading” legato ai dazi. L’inflazione rimane un tema centrale. I dati di aprile relativi all’indice core dei prezzi al consumo (CPI) si sono mantenuti sotto le attese su base mensile (+0,2%), mentre il dato tendenziale si è attestato al +2,8% su base annua. Questo suggerisce che, per ora, l’impatto della guerra commerciale sui prezzi al consumo resta limitato, anche se non va esclusa una maggiore pressione nei mesi a venire, soprattutto qualora le tensioni sui dazi dovessero prolungarsi.
Sul piano delle relazioni internazionali, si segnala una momentanea distensione nelle dispute commerciali, con l’annuncio di una sospensione temporanea (90 giorni) delle tariffe reciproche tra Stati Uniti e Cina. Gli Stati Uniti hanno promesso una drastica riduzione dei dazi sulle importazioni cinesi (dal 145% al 30%), mentre la Cina si è impegnata a fare altrettanto per le merci statunitensi (dal 125% al 10%). Resta tuttavia il fatto che, anche in uno scenario ottimistico di pieno successo negoziale, il livello medio delle tariffe statunitensi sulle importazioni risulterebbe ben superiore rispetto all’inizio dell’anno. Permangono anche segnali di incertezza sul fronte prospettico. L’asimmetria tra dati reali — solidi ma per loro natura retrospettivi — e quelli di fiducia, che restano deboli, delinea un quadro complesso. Il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto sensibilmente al ribasso le previsioni di crescita per gli Stati Uniti nel 2025, portandole al +1,8%, rispetto al +2,7% stimato soltanto a gennaio. Questa revisione tiene conto dell’effetto di trascinamento negativo legato alla prolungata incertezza commerciale e alla perdita di slancio in alcune componenti della domanda. Anche sul fronte della politica monetaria, lo scenario appare complicato. La Federal Reserve ha sottolineato, nel suo ultimo comunicato, la presenza simultanea di rischi al ribasso sulla crescita e al rialzo sull’inflazione, delineando una dinamica di tipo “stagflazionistico” che rende difficile l’intervento. Di conseguenza, l’ipotesi di un rapido sostegno monetario resta improbabile, con un atteggiamento attendista da parte dell’istituto centrale.
Anche in Europa il contesto economico si conferma fragile, seppur con alcune sfumature incoraggianti. Le più recenti stime del Fondo Monetario Internazionale indicano una crescita dell’area euro pari a +0,8% per il 2025, in ribasso rispetto alla precedente previsione del +1%. A sostenere questa revisione negativa contribuiscono i dati congiunturali che confermano un quadro di sostanziale debolezza, in particolare nel settore dei servizi. I più recenti indicatori PMI, infatti, hanno evidenziato un rallentamento nel comparto terziario, con il valore di aprile in discesa a 50,1. Anche l’indice composito ha registrato un calo, portandosi a 50,4. Tuttavia, il settore manifatturiero ha offerto qualche segnale di miglioramento: pur rimanendo sotto la soglia di espansione (49), l’indice ha sorpreso positivamente rispetto alle attese e sembra proseguire un lento ma costante recupero avviato a inizio anno. Questo risultato è particolarmente significativo se si considera il clima di incertezza legato al commercio internazionale e all’impatto dei dazi sulle filiere produttive europee. Un altro elemento rilevante riguarda la dinamica dei prezzi. L’inflazione di fondo (core) ha registrato ad aprile una variazione annua del +2,7%, superiore alle attese (+2,5%). Tuttavia, la componente headline dell’inflazione è rimasta contenuta, stabile intorno al 2%. Questa stabilità si spiega in parte con il calo dei prezzi dell’energia, in particolare di petrolio e gas, e con il rafforzamento dell’euro, che ha contribuito a smorzare le pressioni sui prezzi importati. Alla luce di queste dinamiche, la Banca Centrale Europea sembra intenzionata a proseguire con il percorso di allentamento monetario. Le attese sono per ulteriori due tagli dei tassi nel corso del 2025, con l’obiettivo di sostenere la crescita e mantenere condizioni finanziarie favorevoli, soprattutto in un contesto di inflazione sotto controllo e domanda ancora debole.
Dopo due mesi di ripresa il dato di PMI manifatturiero in Cina si è riportato sotto la soglia di 50 (49 la rilevazione di aprile). In discesa anche il PMI Caixin (più legato a società esportatrici) che è sceso a 50,4 contro il 51,2 di marzo. Ma più preoccupante è il trend sull’inflazione: aprile ha segnato il terzo mese consecutivo di discesa dei prezzi al consumo (-0,1%yoy); anche i prezzi alla produzione sono scesi del 2,7%, a confermare le pressioni deflazionistiche sull’economia. La PBoC è intervenuta tagliando i tassi sui repo a 7 giorni e sui coefficienti di riserva delle banche e annunciando ulteriori misure di sostegno. È positiva la temporanea riduzione delle (assurde) tariffe con gli Stati Uniti, che toglie un po’ di pressione sulle autorità di Pechino, rimane comunque una scarsa propensione verso il varo di piani di stimolo più decisi e in grado di offrire un sostegno più forte all’economia.
Il Giappone si trova in una situazione piuttosto complessa: da un lato dovrebbe cercare un accordo commerciale con gli Stati Uniti per preservare le proprie esportazioni, dall’altro il sostegno della popolazione sarebbe piuttosto limitato e potrebbe compromettere la stabilità dell’esecutivo stesso. Anche i più recenti dati economici creano un contesto incerto per la Banca Centrale in funzione delle dinamiche di inflazione, redditi e tassi di cambio.
Il clima di maggiore distensione si è concretizzato nell’annuncio di lunedì 12 maggio, quando Washington e Pechino hanno comunicato di aver raggiunto un’intesa per ridurre in modo significativo i dazi reciproci per un periodo di 90 giorni. Questo intervallo di tregua offre non solo tempo, ma anche un contesto più favorevole per il proseguimento delle trattative su un accordo commerciale più ampio e strutturato, rappresentando un esito decisamente migliore alle aspettative iniziali del mercato.
In questo scenario di allentamento delle tensioni, gli indici azionari statunitensi hanno recuperato le perdite registrate nei giorni successivi al «Liberation Day», mettendo a segno guadagni di rilievo. Dall’ultima riunione del comitato, l’S&P 500 ha registrato un progresso di poco inferiore al’12% in dollari, mentre il Nasdaq ha fatto ancora meglio, con un rialzo vicino al 18%. La dinamica positiva non si è limitata agli Stati Uniti: anche gli altri mercati azionari internazionali hanno beneficiato del miglioramento del sentiment globale. In particolare, l’MSCI Europe e l’MSCI Emerging Markets hanno guadagnato, in valuta locale, il 7,5% e 9,2% rispettivamente, con le performance dei paesi emergenti sostenute dai buoni risultati di Cina e Taiwan, in crescita rispettivamente del 12% e 13%.
Passando al comparto obbligazionario, i rendimenti governativi sono tornati a salire, spinti dal clima politico più disteso e dalla crescente propensione al rischio degli investitori. I tassi dei titoli decennali statunitensi si sono riportati in area 4,5%, mentre quelli tedeschi si sono avvicinati al 2,7%. Questo movimento ha penalizzato le performance del comparto governativo dei paesi sviluppati, con l’indice delle obbligazioni sovrane globali che, nel periodo, ha perso lo 0,8% in valuta locale. In linea con l’appetito per gli attivi più rischiosi, gli spread di credito si sono compressi, in particolare nel segmento high yield, dove gli indici delle emissioni europee e statunitensi hanno registrato guadagni superiori al 2%. Una dinamica simile ha interessato anche le obbligazioni dei paesi emergenti sia in valuta locale che in valuta forte.
In ambito valutario, il dollaro statunitense ha recuperato parte del terreno perso nei primi mesi dell’anno, soprattutto nei confronti delle valute considerate più difensive come il franco svizzero e lo yen giapponese, che erano state premiate durante la fase di maggiore tensione commerciale. Per effetto di questa stessa dinamica, anche l’oro ha perso leggermente quota, con un calo del 5% nel periodo considerato. Il petrolio, invece, è rimasto relativamente stabile: il prezzo del Brent si è mantenuto su livelli contenuti, oscillando attorno ai 60 dollari al barile.
Malgrado il flusso di notizie sia stato decisamente positivo e i rischi di coda si siano attenuati, rapidità ed entità del movimento di recupero dei mercati finanziari appaiono eccessivi: le tariffe rimangono comunque elevate, occorrerà prestare attenzione ai danni già prodotti dal mutato contesto economico e politico e non ancora catturati dai dati di economia reale e non si può infine trascurare il peso che l’incertezza della situazione continuerà ad esercitare sulle scelte di consumo e investimento di famiglie e imprese.
La Fed ha spazio e credibilità per intervenire, ma i rischi inflazionistici legati alla politica dei dazi (almeno nel breve periodo) rendono probabile una sua azione sui tassi di interesse solo in risposta a un marcato peggioramento delle condizioni finanziarie e/o del mercato del lavoro, due scenari che sarebbero chiaramente negativi per gli asset di rischio.
L’eccezionalismo dell’economia americana non è scomparso, tuttavia gli spazi di manovra della politica fiscale statunitense appaiono limitati. Ciò è dovuto sia al colpo subìto dalla credibilità dell’amministrazione Trump, sia all’elevato deficit di bilancio (ai massimi storici fuori da una recessione). In questo contesto, il rischio di una crescente sfiducia verso la sostenibilità del debito USA e, più in generale, verso gli asset denominati in dollari, rafforza la necessità di una maggiore diversificazione geografica nei portafogli.
L’incertezza non consente di fare previsioni su un minimo per gli utili aziendali, che devono essere ancora rivisti e saranno meno facilmente prevedibili. La nostra valutazione è che continuiamo a non essere remunerati a sufficienza per incrementare la quota azionaria ed andare molto oltre la neutralità.
Confermiamo un approccio prudente alla costruzione di portafoglio. Il profilo di rischio relativo dei prodotti rimane contenuto, con posizionamenti molto vicini agli indici di riferimento in termini di esposizioni alle principali asset class.
Per le strategie multiasset grande attenzione è posta all’equilibrio tra attivi americani ed europei; uno dei rischi più importanti in portafoglio è stato assunto in ambito valutario, con una posizione di marcato sottopeso sul dollaro americano. Nella componente azionaria: è mantenuto un leggero sovrappeso, aumentato nelle settimane recenti soprattutto per effetto della minore copertura scattata su PMI HD. All’interno della componente europea la preferenza va al mercato italiano e a strategie flessibili capaci di muovere dinamicamente l’esposizione complessiva al mercato.
Negli Stati Uniti, manteniamo scommesse limitate su tecnologia, finanziari e mid-cap; rimaniamo cauti sui Paesi Emergenti, più sensibili ad un rallentamento del commercio internazionale e all’economia globale. Nella parte obbligazionaria: riteniamo che l’attuale livello dei tassi rappresenti una buona protezione in presenza di scenari avversi sulla crescita. Manteniamo quindi una duration vicina ai parametri di riferimento, con un leggero sottopeso sulle curve americana, giapponese e inglese. Rimaniamo esposti ai Linkers americani che dovrebbero offrire protezione nell’ipotesi di un’inflazione più persistente delle attese e, visto l’elevato livello raggiunto dai tassi reali, anche in una fase di deterioramento del quadro economico.
Tra le strategie alternative, manteniamo la principale esposizione al risk arbitrage convinti della ripresa del flusso di fusioni ed acquisizioni; a questa scelta sono affiancate una posizione su un certificato sulla volatilità dei tassi US e il fondo Ivct Global Rates che persegue una strategia global macro su tassi e valute.
Nell’ultimo mese il mercato azionario italiano ha continuato il recupero del mese precedente, favorito dalle negoziazioni per ridurre i dazi annunciati in precedenza. Nonostante le incertezze relative all’impatto sull’economia dei dazi stessi, il nostro mercato ha fatto segnare nuovi massimi trainato dai ciclici e dai bancari. A livello settoriale hanno performato oltre ai ciclici ed ai bancari anche i tecnologici e gli automobilistici, mentre hanno faticato i difensivi ed i farmaceutici. Nell’ultimo mese i titoli migliori sono stati Diasorin e Italgas oltre a Telecom e Leonardo. Tra i peggiori troviamo i difensivi come Diasorin, Recordati e le utilities.
Nel periodo di riferimento (16 aprile – 14 maggio 2025) abbiamo assistito ad un allentamento delle tensioni legate alla politica tariffaria USA, prima con una sospensione e poi con l’avvio della fase di negoziazione, che ha portato ad una revisione meno negativa delle prospettive sulla crescita. In questo contesto i tassi sono risaliti in media 25 punti base dai minimi del periodo e gli spread sui segmenti a maggior volatilità hanno stretto oltre 100 punti base dai massimi attestandosi su livelli antecedenti al “liberation day”. Le performance sono state positive su tutti i segmenti in particolare sui comparti ad alto beta, con i titoli High Yield in progresso di oltre 2 punti e i COCO di oltre 3.5 punti. Tutte le strategie hanno registrato performance positive e superiori ai parametri di riferimento beneficiando della maggiore esposizione al rischio di credito, concentrato prevalentemente sui titoli subordinati.
Risultati conseguiti dai principali mercati azionari nel periodo di riferimento:
Stato | Indice | Variazione % dal 17/04/2025 al 15/05/2025 |
---|---|---|
STATI UNITI | DOW JONES | +8.1% |
STATI UNITI | S&P 500 | +12% |
STATI UNITI | NASDAQ | +17.4% |
GIAPPONE | TOPIX | +8.2% |
HONG KONG | HANG SENG | +9.6% |
TAIWAN | TAIEX | +12.4% |
KOREA | KOSPI | +6.1% |
MESSICO | BOLSA | +9.3% |
ARGENTINA | MERVAL | +5.5% |
BRASILE | BOVESPA | -+7.5% |
INGHILTERRA | FTSE 100 | +4.3% |
GERMANIA | DAX | +11.7% |
FRANCIA | CAC 40 | +7.8% |
SVIZZERA | SMI | +4.9% |
ITALIA | S&P/MIB | +12.3% |
SPAGNA | IBEX 35 | +7.8% |
Total return degli indici obbligazionari EFFA dei titoli di Stato e variazioni delle principali valute contro euro:
Stato | Variazione % dal 17/04/2025 al 15/05/2025 |
---|---|
STATI UNITI | -0,4% |
GIAPPONE | -1.2% |
INGHILTERRA | -0.5% |
AREA EURO | -0.5% |
Stato | Variazione % dal 17/04/2025 al 15/05/2025 |
---|---|
USD/EUR | +1.5% |
YEN/EUR | -0.7% |
GBP/EUR | +1.8% |
Lorenzo Borga
Sky Tg24
“Ci vogliono 20 anni per costruirsi una reputazione e solo 5 minuti per rovinarla per sempre”. Donald Trump avrebbe forse dovuto ascoltare i consigli di Warren Buffett prima di lanciarsi negli annunci di nuovi dazi nel cosiddetto “Giorno della liberazione”.
Questa schermata consente al tuo monitor di consumare meno energia quando il computer resta inattivo.
Clicca in qualsiasi parte dello schermo per riprendere la navigazione.