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Guido Giubergia
Intervista a
Presidente
Fonte

La Repubblica

del 18-giu-2023

Esiste anche un volontariato laico, a Torino, fatto di veri volontari e aziende che producono un benessere sociale, pur restando aziende. Paideia è una di queste realtà, nata dalla finanza tradizionale ed arrivata, crescendo, cambiando, adattandosi ad una nuova dimensione. Guido Giubergia, capo di questa impresa di famiglia e Presidente del Gruppo Ersel, parla a La Repubblica.

Guido Giubergia: "Sono cresciuto in via Moncalvo nella casa proprio di fronte alla Fondazione Paideia dove siamo noi adesso. Oggi ci abita uno dei miei tre figli. Ho una sorella Paola che ha sette anni in meno di me. Mio padre Renzo era ingegnere ed è entrato nell'attività di famiglia, Ersel, che mio nonno, agente di cambio, aveva fondato nel 1936. A Torino è nata come Studio Giubergia, ed abbiamo fondato la prima società di fondi comuni autorizzata in Italia. Oggi si occupa anche di servizi di consulenza sugli investimenti, sevizi bancari, fiduciari e corporate advisory».
 

Che persona era suo padre?


«Un uomo eccezionale, molto in gamba, molto severo ma affettuoso. Abbiamo avuto sempre un bel rapporto aperto e sincero. Mia mamma, Maria Giovanna, si prendeva cura della famiglia. Io essendo l'unico maschio dopo la laurea, ho iniziato a lavorare in Ersel. Diciamo che mi ci sono trovato, non è stata una vera vocazione».
 

Ma avrebbe voluto fare altro?


«Se avessi seguito il mio istinto, sarei diventato un agricoltore. Infatti quando mio padre ha comprato una cascina a Baldissero nel '70, io mi ci sono subito trasferito. Facciamo il vino e abbiamo delle pecore, una razza pregiata, la Suffolk. Amo stare in campagna, anche a mio padre piaceva. Mentre mia madre la odiava, restava tutta la settimana in città e lo raggiungeva la domenica, ma solo in giornata, poi tornava in centro a Torino». [...]
 

Dove ha studiato?


«Le elementari qui, dalle suore tedesche, proprio nell'edificio dove siamo noi oggi, in via Moncalvo a Paideia. Erano molto severe, ma rispetto alle altre scuole un po' andanti, tutto sommato, sono contento. Poi le medie alla Olivetti e il liceo al Gioberti che nel Sessantotto è stato il centro del movimento studentesco». [...]
 

Poi si è iscritto a Economia. Perché?


«Beh, è una facoltà che ha molti sbocchi. Come le dicevo prima, io avrei fatto l'agricoltore, ma è un sogno rimasto nel mio mondo immaginario. Anche se ora, dopo tanti anni di duro lavoro, finalmente posso dedicarmi a ciò che più mi piace».
 

Ha degli hobby?


«Più che altro sono uno sportivo, lo sono sempre stato. Sci d'inverno e motocross d'estate. Ho messo gli scarponi ai piedi a cinque anni, a Sauze, perché mia madre trascorreva lì le vacanze, in un albergo. E da allora ho sempre sciato, ho fatto gare per anni a livello agonistico. Ora mi dedico allo sci alpinismo, faccio gite a piedi e la moto la uso ogni tanto. In compenso vado in bici, parto da casa e mi perdo per ore sulle colline. Questa mattina, per esempio, sono stato via per un bel po'. Mi sto preparando per una corsa, la maratona delle Dolomiti, quindi mi alleno, duramente». [...]
 

Una volta laureato, è entrato subito a lavorare in azienda?


«Prima sono stato all'estero per un anno, tra New York, Londra e Ginevra, ovvero i tre centri fondamentali per la fmanza. È stato un momento formativo molto importante per me. E poi, si, mi sono gettato a capofitto nell'azienda. Oggi sono Presidente di Ersel, Paideia e consigliere di Koelliker, l'ospedale che la nostra famiglia ha comprato nel 2020. In tutti questi anni sono riuscito a costruire una magnifica squadra di manager e ho un ottimo Amministratore Delegato in Ersel. In breve ho affidato a loro tutta la gestione ordinaria. E quindi, ora, come le dicevo, posso occuparmi d'altro».
 

Qual è l'anima economica della città di oggi?


«Torino è cambiata enormemente, il denominatore comune è la quasi oramai inesistenza della Fiat. La città ha sofferto relativamente a mio avviso: intorno a questo colosso industriale tante aziende sono state capaci di riciclarsi e non essere più dipendenti. I mono clienti sono scomparsi, quelli con la vista lunga, diciamo, avevano già iniziato con gli anni a diversificarsi».
 

In che modo?


«Lavorando per le grandi aziende tedesche che sono i veri produttori di auto. La nostra famiglia facendo attività di finanza è sempre stata indipendente dal mondo Fiat. E dunque abbiamo vissuto la scomparsa del colosso in modo indiretto. I nostri clienti provengono da ambienti molto variegati».
 

E chi sono?


«Professionisti, industriali che hanno venduto le loro aziende e imprese, per motivi diversi. Non sempre i figli, per esempio, sono interessati a continuare il lavoro fatto dai padri, a volte, non sono nemmeno all'altezza. Per quanto riguarda Torino, la nostra fonte primaria, sono state le cessioni delle grandi aziende. Ci occupiamo di gestioni di patrimoni, siamo una banca, quindi, ripeto, il contesto Fiat lo abbiamo sempre sfiorato». [...]
 

Come definisce la cultura del lavoro in Piemonte?


«Quando si dice "sabauda" corrisponde a verità: rigore, correttezza, parsimonia. Se fa un giro tra le grandi aziende o imprese sul nostro territorio, scoprirà che il proprietario arriva al lavoro in Panda, tutto secondo quell'understatement tipico di noi qui, appunto».
 

Moderazione e toni bassi sono le cifre sabaude. A Torino si è inventato (quasi) tutto, ma poi, per fare un esempio, Milano ve l'ha rubato. Come se lo spiega?


«È così, noi siamo creativi, loro sanno vendere. E perdiamo tutto per strada. Non siamo la città del marketing. Milano sì».
 

Altra cifra della città è il volontariato.


«Certo, Torino ha una vocazione al volontariato grazie alla Chiesa e alla nobiltà. Una volta l'aristocrazia se non aveva figli cui lasciare l'eredità, dava tutto alla Chiesa e parliamo di patrimoni davvero enormi. La nostra famiglia ha da sempre un profondo legame con la città che si è espresso attraverso la Fondazione Paideia nata nel 1993, cui è seguito il Centro Paideia nel 2018, una struttura pensata per la riabilitazione infantile. L'edificio dove siamo oggi è un perfetto esempio di volontariato laico, anche se noi, e lo sottolineo, abbiamo dato vita ad una vera e propria azienda sociale. Il logo di Paieia è un disegno che avevo chiesto di fare a mia figlia Francesca nell'86, aveva sette anni, in occasione di una cena (per il frontespizio del menu) che avevamo organizzato per i nostri dipendenti. Oggi è il simbolo di questa Fondazione a cui tengo molto. Mi piace raccontare questa storia perché restituisce lo spirito della nostra famiglia». [...]

Intervista a
Guido Giubergia

Guido Giubergia

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La Repubblica

del 18-giu-2023
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