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Guido Giubergia
Intervista a
Presidente
Paola Giubergia
Responsabile relazioni esterne di Ersel
Fonte

La Stampa

PAG. 39 - del 16-mar-2024
Paola e Guido Giubergia:

Nella sede di banca Ersel, in piazza Solferino, lo studio del fondatore Renzo Giubergia, per tutti semplicemente «l'ingegnere», è rimasto intatto dopo la sua scomparsa, nel 2010: «Non abbiamo toccato nulla» dicono i figli Guido, 72 anni, e Paola, di 7 più giovane. Paola e Guido Giubergia ne parlano a La Stampa.

Entrambi filantropi, oggi Guido Giubergia tiene le redini di Ersel e Paola Giubergia ne cura la comunicazione, insieme si occupano delle Fondazioni Renzo Giubergia, che sostiene giovani musicisti, e Paideia, che da 30 anni aiuta bambini  e famiglie in difficoltà. Nel 2020 hanno acquistato l'ospedale Koelliker. Per Guido la scelta professionale è stata scontata: «Alla finanza preferivo le attività produttive, ero più creativo, ma ero anche il figlio maschio. Gli affari andavano bene: perché avrei dovuto prediligere altre strade?».
 

Eppure si narra che lei volesse fare l'agricoltore.


«La campagna è sempre stata la mia passione, infatti vivo a Baldissero: a Cascina Arnaldo ho le pecore e produco vino».
 

Invece lei, Paola, cosa sognavate di fare da grande?


Paola: «Volevo lavorare alla Rinascente di Milano. Feci il colloquio e mi spiegarono che avrei dovuto fare la gavetta. Nessuno aveva da eccepire, tranne papà che mi disse: "S´es mata?". E tre giorni dopo mi accompagnò a cercare un negozio. L'ho aperto nel 1984, a 24 anni, in via Lagrange, "La Mezzaluna", articoli di design per la cucina, fino al 2003».
 

Quale tratto del carattere avete ereditato da lui?


P: «Siamo brave persone».
G: «L'indipendenza di giudizio e la libertà. Non apparteniamo a nessun circolo e nessun potentato». [..]
 

Era severo?


P: «Avevamo un legame speciale: sempre in contatto, nel 1986 mi regalò uno dei primi cellulari così anche in vacanza potevo sentirlo. E adorava i bambini, ma il suo "no" non ammetteva deroghe».
G: «A me, invece, diede il primo iPhone, che passai subito a mio figlio perché non sapevo che farmene. Oro non posso stare senza».
 

Vi sgridava?


G: «Io ero ligio, ubbidiente, calvinista, avevo la disciplina degli sportivi, facevo gare di sci, motocross, ciclismo, corsa a piedi. Paola, invece, era più...»
P: «...Peperina? Lo so, sono stata anche bocciata in quarta al Segrè, per 7 in condotta. E papà si contrariò molto, ma poi mi disse: "Anch´io avevo chiuso uno dentro la cassapanca della segatura". E a luglio mi fece lavorare in ufficio da lui come centralinista».
 

Vi ricordate una discussione?


G: «Io avevo la mania della caccia, la praticavo ovunque, anche nel giardino di casa e una volta uccisi un merlo. Lui si arrabbiò tantissimo, era "il nostro merlo", disse, e mi sequestrò il fucile. Per riaverlo ho dovuto prendere 8 per tre volte in un giorno, al Gioberti, lo stesso liceo dove era andato lui».
P: «Papà pensava mi diplomassi con il minimo, così azzardò promettendomi mille lire per ogni voto: ho preso 54 e lo spiazzai». [...]
 

Un viaggio del cuore?


P: «In Turchia».
G: «Trentasei anni fa, papà venne con noi: eravamo così tanti che affittammo un aereo per Bodrum e poi girammo in caicco».
P: «Feci uno scherzo a mio fratello, che di solito prendeva barche molto semplici. Un amico gli fece credere che io invece mi ero comprata un Perini, il meglio tra gli yacht. Gli prese un colpo».
G: «Già, lei è senza budget...».
P: «Infatti ci chiamavano Oculato e Opulenza».
 

È vero che l'avete portato anche a Eurodisney?  Fa un certo effetto immaginare un capitano della finanza tra le giostre.


P: «Era il regalo per i suoi 70 anni».

G: «Lui era così. A casa avevamo una tradizione: mia moglie, bravissima artista, disegnava per Natale segnaposti personalizzati con le caratteristiche di ogni parente: per mio padre pensò Peter Pan».
P: «Sognatore e leggiadro».
 

Si narra di epici pranzi di famiglia


G: «In via Moncalvo, con tutti i parenti, organizzati dalla nonna. Era la casa di famiglia, di fronte alla nostra scuola dell´infanzia, con le suore tedesche, che molti anni dopo è diventata la sede di Paideia. I pranzi erano sempre movimentati, specie quando mia zia s´infiammava, per nulla. Bastava un congiuntivo sbagliato: all´inizio del pranzo c'era, a metà ci lasciava. E se non eri puntuale non mangiavi».
P: «Ma dai, che tu mangiavi sempre!». [...]
 

Il rapporto con Torino?


P: «Da presidente della Consulta per i beni artistici e culturali, è stata una grande anima della città. Non era mai critico, detestava solo i padiglioni di Atrium, quei "gianduiotti" allestiti in piazza Solferino, e si era battuto per il restyling di piazza Valdo Fusi».
G: «Il luogo del cuore era Villa della Regina: ha provato anche ad organizzarci il matrimonio di mia figlia».
 

Se poteste riaverlo qui ora, cosa gli direste?


G: «Avevamo una piccola quercia infestata di edera, ho nostalgia del giorno in cui ci siamo messi insieme a pulirla. Ora è meravigliosa: vorrei tornare lì con lui e mostrargli anche quanto è cresciuto il cedro del libano che aveva regalato a mia figlia Francesca per i suoi 18 anni, ora lei ne ha 45. Io misuro il tempo con gli alberi».
P: «Vorrei solo risentire la sua voce. E fargli abbracciare tutti i nipoti e i pronipoti. Lui compiva gli anni il 14 settembre, "le feste del nonno" sono passate alla storia in famiglia. Pensi che mia figlia ha fatto di tutto per partorire il 14 settembre e mio figlio si è tatuato la firma del nonno sul braccio».

Intervista a
Guido Giubergia

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