Passa a
A un anno dal Rapporto Draghi, l’Unione Europea è ancora in ritardo sulla propria agenda di rilancio economico. Difesa, energia e innovazione restano i nodi cruciali di una competitività tutta da costruire.
A un anno dalla presentazione in pompa magna del suo Rapporto sul futuro della competitività dell’Unione Europea, Mario Draghi ritorna a Bruxelles per fare il punto sui progressi nell’attuazione del piano. Nel corso della conferenza dedicata alla valutazione dei progressi, l’ex governatore della Banca Centrale Europea ha sottolineato come, nonostante gli sforzi compiuti, la piena attuazione della sua agenda resti ancora lontana e lo spazio di manovra dell’Unione si riduca giorno dopo giorno.
Fino ad ora, infatti, i progressi si rivelano limitati. Secondo i dati pubblicati dall’European Policy Innovation Council, soltanto l’11,2% delle 383 iniziative individuate è stato pienamente implementato, a cui, se si aggiungono quelle in corso di realizzazione, si raggiunge appena il 31,4%. Un risultato troppo esiguo, se si considera che già nel 2023 Draghi insisteva sull’urgenza di agire senza indugi per invertire la rotta. Anche altri indicatori confermano questo giudizio insufficiente: se la Banca Centrale Europea stimava allora necessari investimenti annui per circa 800 miliardi di euro, oggi il fabbisogno si è innalzato a 1.200 miliardi di euro all’anno. Il motivo dietro tale incremento? Le spese per la difesa, rese inevitabili da un contesto di sicurezza sempre più fragile, a cui si sommano gli investimenti richiesti per la transizione verde e digitale e per l’ammodernamento delle infrastrutture energetiche e di rete. Nel suo discorso Draghi ha inoltre sottolineato che l’apporto pubblico a tali investimenti sia quasi raddoppiato rispetto all’anno scorso, passando dal 24% al 43%, dal momento che l’incremento delle spese per la difesa viene in gran parte finanziato da un aumento della spesa pubblica.
L’urgenza di intervenire era già percepita nel 2023, quando il continente affrontava le conseguenze economiche dell’invasione russa dell’Ucraina, tra cui l’aumento del costo dell’energia, a cui l’Unione rispose con misure come il REPowerEU. Da allora, il contesto internazionale si è fatto ancora più complesso.
Nel corso del 2025, infatti, l’Unione ha dovuto rimettere in discussione le storiche relazioni con gli Stati Uniti dopo il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e un accordo commerciale concluso a luglio che sembra andare nella direzione opposta alle indicazioni fornite da Draghi. La Russia continua a costituire una minaccia per la sicurezza del Vecchio Continente, visti i pochi passi avanti sul cessate il fuoco in Ucraina e le recenti violazioni dello spazio aereo di diversi Stati membri. Infine, il rapporto con la Cina risulta sempre più complesso, con un approccio che cerca da un lato di bilanciare la necessità di negoziare con un partner commerciale essenziale – soprattutto in settori strategici come semiconduttori e materie prime critiche – e dall’altro di contenere l’eccesso di produzione che rischia di riversarsi sul continente viste le recenti tensioni tra Washington e Pechino.
Negli ultimi mesi, la Commissione europea ha cercato di dare attuazione alle raccomandazioni contenute nel Rapporto convogliandole nella Bussola per la competitività, lanciata a fine gennaio. Il piano, che si fonda sulla riduzione del divario innovativo, la decarbonizzazione e la diminuzione delle dipendenze esterne, rappresenta la tabella di marcia per l’attuazione dell’agenda Draghi. Tuttavia, nonostante la pubblicazione di numerose iniziative, persistono ostacoli strutturali che rallentano il processo di integrazione e ne limitano l’efficacia.
Il principale freno rimane la frammentazione politica interna all’Unione. Le divisioni tra le capitali europee emergono con particolare forza su dossier sensibili agli interessi nazionali, come quello della difesa. Iniziative come il Security Action for Europe (SAFE) – uno dei pilastri del piano Readiness 2030 – rappresentano un passo avanti, ma la forte dipendenza dagli Stati Uniti e la riluttanza ad abbandonare una competenza considerata parte della sovranità nazionale rendono difficile la costruzione di una vera politica di difesa comune.
Nel settore energetico, progressi come l’Affordable Energy Action Plan o lo State Aid Framework si scontrano con l’accordo commerciale di luglio con Washington, che rischia di accrescere ulteriormente la dipendenza europea attraverso l’impegno, seppur non vincolante, di acquistare 750 miliardi di dollari di prodotti energetici statunitensi. In altri ambiti – come automotive, digitale e farmaceutico – si registrano avanzamenti, ma la sfida principale resta quella dell’attuazione concreta delle misure proposte.
In questo quadro, l’agenda Draghi fatica a tradursi in risultati tangibili. La prima proposta della Commissione per il prossimo Quadro finanziario pluriennale prevede un finanziamento di 409 miliardi di euro per il Fondo per la competitività, cifre ben lontane dalle stime di Draghi e già oggetto di forti opposizioni da parte degli Stati membri. Senza una maggiore unità politica e un impegno condiviso nell’affrontare le sfide strategiche del continente, l’Unione rischia di restare ai margini della scena internazionale, sempre più dipendente dalle altre potenze e incapace di provvedere autonomamente alle esigenze dei suoi Stati membri.
Questa schermata consente al tuo monitor di consumare meno energia quando il computer resta inattivo.
Clicca in qualsiasi parte dello schermo per riprendere la navigazione.