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Aaron Ettinger
Professor, Department of Political Science, Carleton University

Dopo la vittoria dei Liberali di Carney, Ottawa affronta tensioni commerciali senza precedenti con la Casa Bianca. Quale futuro attende una delle relazioni bilaterali più strette al mondo?

Canada e Trump

Focus

Il copione della guerra commerciale

La guerra commerciale è ancora nelle sue fasi iniziali, ma il copione del 2017 rischia di essere inutile nel 2025. Questa volta l’ostilità tariffaria di Trump è globale, disordinata e incoerente. I gruppi d’interesse statunitensi si dimostrano più disposti ad assecondare il presidente e meno sensibili alla pressione diplomatica canadese rispetto al passato. Nessuno, realisticamente, crede che il Canada possa vincere una guerra commerciale prolungata contro Washington. Per ora, i canadesi devono prepararsi all’impatto.

I canadesi si sono da sempre abituati a passare inosservati negli Stati Uniti. Fa parte del ruolo. Essendo il partner minore nella relazione regionale, gli USA sono molto più importanti per il Canada che viceversa. Di conseguenza, i funzionari canadesi dedicano enormi sforzi per promuovere gli interessi del proprio Paese presso le controparti statunitensi, che spesso li percepiscono come “invisibili e impercettibili”. Ora il Canada ha l’attenzione degli Stati Uniti, ma non nel senso buono.  

Dalla sua rielezione Donald Trump ha invertito le tendenze regionali, rivolgendo una quantità insolita di attenzione e ostilità verso nord. Ha paventato l’annessione, ha denigrato l’allora primo ministro Justin Trudeau definendolo “governatore” e ha accusato il Canada di essere, tra l’altro, un “paradiso della droga”, uno “scroccone della difesa” e un “imbroglione commerciale”. Mentre battute riguardo al 51° Stato sono pungenti, i dazi imposti da Trump al Canada feriscono profondamente. Questi dazi mettono a repentaglio la prosperità del Canada e c’è poco che si possa fare per dissuadere Trump. 

La Trump saga ha messo in luce, per i canadesi, il paradosso della loro esistenza nordamericana: gli Stati Uniti sono al contempo la fonte della prosperità e della sicurezza del Canada, ma anche la sua minaccia più grande. I diplomatici e i funzionari canadesi ne sono consapevoli da generazioni e hanno sviluppato una specifica competenza nella gestione delle relazioni bilaterali più complesse al mondo. Ora i canadesi stanno riflettendo apertamente sulla rottura con gli Stati Uniti o, per usare le parole del primo ministro Mark Carney, il Canada dovrà “ridurre drasticamente” la sua dipendenza dagli USA e “la nostra relazione di lunga data di progressiva integrazione con gli Stati Uniti è finita.” 
 

Non sono io, sei tu 


Come metterlo in pratica è un’altra storia. Per il Canada, rompere con gli Stati Uniti è impossibile, la geografia e la storia l’hanno reso tale e, mentre l’ideale canadese è stato a lungo quello di essere cittadini del mondo, la realtà è che il Canada è intrinsecamente legato agli Stati Uniti. Ecco perché la posizione di Trump nei confronti di Ottawa è così profondamente minacciosa. 

L’economia è il settore in cui il Canada è maggiormente vulnerabile al riposizionamento statunitense. Un impressionante 76% delle esportazioni canadesi è stato destinato agli USA nel 2024 e, secondo la Camera di Commercio canadese, 2,3 milioni di posti di lavoro canadesi sono legati alle esportazioni USA. Il valore totale annuo del commercio transfrontaliero è di 1,3 trilioni di dollari canadesi. Il rapporto di profonda integrazione non è avvenuto dall’oggi al domani, è il frutto di generazioni di sforzi per integrare le due economie, cominciato con l’Auto Pact del 1965 e accelerato attraverso il Canada-US Free Trade Agreement del 1986, il North American Free Trade Agreement del 1994 e il Canada-US-Mexico Trade Agreement (CUSMA/USMCA) del 2018. In effetti, alcune aree degli Stati Uniti sono vulnerabili, ma il rischio grava in maniera schiacciante dal lato canadese. Per questa ragione, quando Trump ha minacciato e poi imposto i dazi sui beni del Paese vicino, in Canada è prevalso un sentimento di apprensione profonda.  

Come fa il partner minore nella relazione a sopravvivere al mercantilismo ostile di Trump? La risposta breve è fare leva sulla complessa interdipendenza e sulla profonda integrazione tra i due Paesi. 

L’approccio del Canada agli Stati Uniti è radicato in un’integrazione istituzionale e in norme culturali di lunga data. Nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale le relazioni tra i due vicini erano informate da “regole del gioco” comunemente intese e rispettate dal corpo diplomatico di entrambi i Paesi. A partire dagli anni Settanta le relazioni regionali si sono fatte più complesse e frammentate, distribuendo le connessioni bilaterali su più punti di contatto. Le connessioni intergovernative si sono solo approfondite durante l’era del libero scambio. La virtù del sistema politico aperto e pluralistico degli USA è che si presta a svolgere attività di lobbying attraverso lo “Stato multilivello”. I funzionari pubblici canadesi, il settore privato e le organizzazioni della società civile hanno le loro controparti negli USA, che possono essere persuase dei vantaggi reciproci del libero scambio e far valere le ragioni dell’apertura a Washington quando il protezionismo è nell’aria. Questa è stata l’essenza dell’approccio del “Team Canada” a Donald Trump. 
 

Cosa c’entrano i generali in pensione, le ciambelle e il musical con il libero scambio? 


Nel 2017, dopo l’iniziale esenzione dai dazi per il Canada, Trump adottò una linea dura. Impose dazi del valore di 5,5 miliardi di dollari canadesi sulle esportazioni di acciaio canadese e 7 miliardi di dollari canadesi su quelle di alluminio. Il Canada rispose con dazi equivalenti del valore di 12,8 miliardi di dollari canadesi su metalli, prodotti agricoli, alimenti e beni per i consumatori statunitensi. Ci furono anche ritorsioni mirate – bourbon del Kentucky, arance della Florida, cioccolato della Pennsylvania e Harley-Davidson del Wisconsin – per concentrare l’impatto politico su aree che supportano Trump.

Nel frattempo, il “Team Canada” lanciò una charme offensive. I leader federali, provinciali e municipali si misero in contatto con le loro controparti; anche generali, primi ministri e diplomatici in pensione furono rimobilitati per attivare le loro reti di relazioni. Il primo ministro Justin Trudeau arrivò persino a portare Ivanka Trump a vedere Come From Away, un musical dedicato ai canadesi che accolsero viaggiatori americani bloccati l’11 settembre. Questa “donut strategy” mirava a isolare la Casa Bianca per quanto possibile, come se fosse il buco di una ciambella, e a sfruttare le preoccupazioni interne degli Stati Uniti a vantaggio del Canada. Tuttavia, a un certo punto, il NAFTA dovette essere rinegoziato. Le trattative dure furono affidate ai capi delegazione dei due Paesi e nel novembre 2018 venne raggiunto un nuovo accordo trilaterale (Canada-US-Mexico Agreement o CUSMA), entrato in vigore nel luglio 2020. 

La tregua offerta dal nuovo accordo commerciale – e dall’interregno di Biden – si è rivelata effimera. Dal 20 gennaio 2025 Trump sta adottando una linea molto più aggressiva e imprevedibile in materia di commercio, colpendo duramente il Canada. Tra marzo e aprile ha imposto una serie di dazi, tra cui: un dazio del 25% su tutte le esportazioni canadesi non conformi al CUSMA (ad eccezione di un dazio specifico del 10% su esportazioni di energia e potassa), un dazio del 25% su alluminio e acciaio e un dazio del 25% sulle automobili.1 La Casa Bianca sta inoltre valutando dazi ulteriori su prodotti farmaceutici, rame e semiconduttori. Sebbene la diplomazia distribuita del “Team Canada” resti l’approccio preferito, questa volta il governo canadese a tutti i livelli ha deciso di passare al contrattacco. Ottawa e le province hanno reagito con una serie di misure sia sostanziali sia simboliche. Il governo federale ha imposto dazi del 25% su diversi prodotti statunitensi (a marzo); a seguire, ad aprile ha introdotto dazi del 25% su veicoli importati dagli USA non conformi al CUSMA o sul loro valore USA se conformi al CUSMA. Alcune province rimuovono dagli scaffali delle enoteche statali gli alcolici provenienti dagli USA, mentre i governi municipali tentano di introdurre clausole “Buy Canadian” nei contratti pubblici. 

Altrettanto significativo è il cambiamento nel linguaggio ufficiale. In uscita e con un indice di gradimento in calo, Justin Trudeau ha impostato il nuovo tono: “Non vogliamo trovarci in questa situazione, non l’abbiamo cercata, ma non ci tireremo indietro nel difendere i canadesi”. Negli ultimi giorni del suo mandato da primo ministro non ha impiegato ulteriori energie per cercare concessioni da parte di Trump. Il premier dell’Ontario, Doug Ford, ha minacciato di interrompere l’esportazione di energia elettrica verso New York, Michigan e Minnesota. Anche i consumatori hanno reagito con forza, boicottando i prodotti statunitensi e cancellando i viaggi negli Stati Uniti. “Elbows up” è diventato il nuovo grido di battaglia nazionale. Tuttavia, non tutti si sono mossi all’unisono. Danelle Smith, premier della provincia esportatrice di petrolio e gas dell’Alberta, ha cercato un accordo separato con gli Stati Uniti, indebolendo così la risposta unitaria del Canada. 
 

Cosa succede ora? 


A complicare ulteriormente la situazione per il Canada è il fatto che tutto ciò è accaduto in un momento di turbolenza politica interna. Nel dicembre 2024, a seguito di una rivolta interna al partito, il premier Trudeau annunciò le sue dimissioni per marzo 2025, una volta scelto il nuovo leader liberale. Il partito elesse Mark Carney, già governatore della Banca del Canada e della Banca d’Inghilterra. Dieci giorni dopo Carney indisse elezioni anticipate per il 28 aprile. 

Due aspetti hanno reso questo interregno particolarmente singolare. Primo, il Canada è stato privo di una leadership nazionale forte nei primi 100 giorni del ritorno di Trump alla Casa Bianca, rendendo il Paese politicamente più vulnerabile del solito. Fortunatamente l’inettitudine generale di Trump ha evitato il peggio per il Canada. Secondo, l’uscita di scena di Trudeau e il ritorno di Trump hanno stravolto le dinamiche della politica canadese. Il vantaggio di 20 punti nei sondaggi di cui godevano i Conservatori, guidati dal populista Pierre Poilievre, si è dissolto man mano che gli elettori esitanti sono tornati verso il Partito liberale. Il messaggio di cambiamento di Poilievre, dopo un decennio di governo liberale, si è scontrato con la narrativa di Carney, che ha puntato sulla stabilità di fronte alla minaccia rappresentata da Trump. Entrambi hanno cercato di rivendicare il ruolo di difensore del Canada, ma questa campagna elettorale anomala ha avuto un carattere duplice: una scelta tra crisi di accessibilità economica e bisogno di cambiamento oppure tra stabilità e maturità?

Alla fine, gli elettori canadesi si sono divisi quasi equamente: 43,7% ai Liberali contro il 41,3% ai Conservatori. Il Partito Liberale formerà un governo con 170 seggi in Parlamento, a due passi dalla maggioranza assoluta. Al momento in cui scrivo, tre seggi sono sottoposti a riconteggi automatici. Ironia della sorte, Poilievre – candidato del cambiamento – ha perso il proprio seggio in parlamento). Gli analisti elettorali canadesi continueranno a studiare a lungo questi risultati, che però non intaccano la guerra commerciale. Continuerà perché Trump desidera così. 

A una settimana dalla vittoria, il primo ministro Mark Carney si è recato alla Casa Bianca per incontrare Trump e ristabilire le relazioni. Nello Studio Ovale, Carney ha ribadito che il Canada non è in vendita e Trump non ha ceduto sui dazi. Tuttavia, la maggior parte degli analisti concorda sul fatto che questo incontro sia stato un buon primo passo verso il riavvicinamento. Il prossimo incontro importante tra Carney e Trump sarà al vertice del G7 in Canada a giugno.

Nonostante questi primi passi promettenti, il Canada prosegue con le misure di ritorsione contro gli Stati Uniti. Ciò implica l’imposizione di dazi distruttivi reciprocamente, nella speranza che i canadesi tollerino meglio le difficoltà economiche rispetto agli americani e che gli elettori statunitensi puniscano i Repubblicani nelle elezioni di metà mandato del 2026. Nel lungo periodo, il Canada è chiamato a scelte cruciali. In primis, deve intervenire sulla sua economia, istituendo una zona di libero scambio interna e migliorando la produttività stagnante. Sul piano esterno, deve ridurre la dipendenza commerciale dagli Stati Uniti, diversificando e approfondendo i rapporti con il resto del mondo. Negli ultimi dieci anni governi sia liberali che conservatori hanno concluso accordi importanti come il Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership (2016), l’Accordo commerciale Canada-UE – CETA (2017) e l’Accordo di continuità commerciale post-Brexit con il Regno Unito (2021). Non sono mancate, però, anche iniziative fallite, come i negoziati con India e Cina. Ciononostante, il Canada dovrebbe continuare a rafforzare i propri legami commerciali nella regione indo-pacifica, che rappresenta ormai il suo secondo mercato regionale per l’export. Nonostante tutto, il Canada resta fortemente dipendente dal mercato statunitense. 

Diversificare, però, è molto più facile da dire che da fare e rappresenterebbe una vittoria della politica sulla geografia. Idealmente per il Canada, gli Stati Uniti prima o poi rinsaviranno, porranno fine a questa guerra commerciale arbitraria e torneranno al modello di integrazione che ha reso la relazione Canada-USA un esempio invidiato nel mondo.

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