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Tutta la tecnologia che per noi oggi è diventata insostituibile ha il proprio cuore nei chip di silicio. È in questi minuscoli circuiti che avviene l’effettiva elaborazione dei dati che è alla base della prosperità economica del nostro mondo. E molto probabilmente è sul terreno dei chip che nei prossimi anni arriverà la resa dei conti finale tra Stati Uniti e Cina.

Una sfida cruciale

Focus

La nuova egemonia tech

Ormai questo predominio passa inesorabilmente anche attraverso la supremazia tecnologica: Pechino e Washington sanno benissimo che la potenza di calcolo che è generata dai chip definirà gli equilibri dei decenni a venire ed è su questo fronte che si gioca una delle sfide più importanti del momento. Nel mirino c’è il nuovo mondo dei supercomputer ma la nuova egemonia tech coinvolgerà anche i sistemi di difesa del futuro.

Il confronto tra le due superpotenze mondiali sta diventando sempre più serrato e punta, più di ogni altra cosa, al predominio sul panorama internazionale.

Vincere quella che è stata definita la «guerra dei chip» sarà di importanza vitale. Per questa ragione l’amministrazione del Presidente Usa Joe Biden sta insistendo su questo fronte. Anche con nuove armi e con un innalzamento del livello nello scontro. Oltre alla strada più tradizionale delle sovvenzioni miliardarie all’industria americana
dei semiconduttori, Biden sta anche cercando di arginare il più possibile l’ascesa dei rivali cinesi. In questa direzione mirano le ultime misure contenute in una pubblicazione di 135 pagine del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti del 7 ottobre. La lista contiene divieti all’esportazione dei chip più avanzati e delle attrezzature e dei macchinari utilizzati per produrli, nonché il divieto per i cittadini statunitensi di fornire qualsiasi tipo di supporto alle aziende cinesi del comparto. In caso di violazioni di queste regole è addirittura prevista la revoca della cittadinanza americana.

Questo giro di vite, che è arrivato a inizio mese, rappresenta una escalation nella guerra tecnologica tra Usa e Cina. Individua però anche uno dei punti deboli delle industrie cinesi dei semiconduttori che è rappresentato dalla dipendenza
dal know-how degli Usa e dei suoi specialisti. Lo sviluppo dei chip e la realizzazione dei macchinari per la loro produzione richiedono, infatti, competenze molto sofisticate e necessitano di operatori preparati.

La doppia tenaglia Usa, formata da sovvenzioni e restrizioni, guarda al futuro. La mossa punta infatti a delineare gli equilibri, anche militari, dei prossimi decenni tra Stati Uniti e Cina. L’aspetto interessa soprattutto la potenza di calcolo per scopi militari o di intelligence. In questo modo gli Usa provano a spostare il piano di competizione con la Cina sulla qualità e non più sulla quantità. Il prerequisito di questa strategia tuttavia è che la maggior parte dei chip più avanzati sia prodotta fuori dal Paese asiatico.

Questa tattica sarà molto importante soprattutto in un’ottica di lungo periodo. Anche perché la potenza di calcolo dei semiconduttori cresce enormemente ogni due anni. In questo modo l’America si starebbe guadagnando margini di vantaggio che vanno a velocità più sostenuta.

La nuova escalation rappresenta un duro colpo per la Cina. Per gli esperti, la mossa Usa farà fare molti passi indietro all’industria cinese dei semiconduttori. Negli ultimi tempi, il Paese ha concentrato molti sforzi sullo sviluppo di questo comparto, senza però vedere i frutti. Di fatto, l’industria dei chip cinese non è mai riuscita a guadagnare in competenze strategiche e a primeggiare.

Anche il tentativo di importare esperti da Taiwan non ha funzionato. Il salto di qualità non è mai arrivato. Nell’industria dei semiconduttori esiste una quantità inimmaginabile di know-how che è difficile da copiare. Questa è una delle ragioni del marginale avanzamento cinese in questo campo. Ne è la riprova il fatto che le importazioni di semiconduttori da parte della Cina superano le importazioni di petrolio del Paese.

Con i nuovi divieti, arrivati a inizio ottobre dagli Stati Uniti, gli esperti stimano che la Cina potrebbe posticipare la crescita su questo fronte e vedere rinviato il proprio progresso di cinque-dieci anni. Ed è proprio questo che vuole Washington: riportare il più indietro possibile le lancette dell’orologio dello sviluppo della Cina.

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