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Davide Davico
Intervista a
General Counsel Ersel
Fonte

Wewealth.com

del 16-set-2021
Eredi senza eredità: all'estero si può, in Italia?

Daniel Craig, Warren Buffet, Bill Gates: sono le molte celebrità dell'avviso di lasciare poco o nulla in eredità ai figli. Ma è davvero possibile? We Wealth ha fatto il punto con Davide Davico, General Counsel del Gruppo Ersel.

Meglio poveri, che viziati. È questo un pensiero che ricorre tra imprenditori, star hollywoodiane e altre personalità famose, che a differenza dei loro figli, hanno avuto l'opportunità di farsi. A loro avviso quello dell'eredità è infatti una questione di postura, più precisamente una scelta (fatta dai genitori) tra l'avere la schiena dritta ed essere degli smidollati. Affianco a un tema etico, tuttavia, si pone anche, e soprattutto, uno giuridico: è possibile non lasciare l'eredità ai propri figli? In alcuni paesi sì, in altri no.

“Credo che le eredità siano di cattivo gusto. La mia filosofia è quella di godersi i soldi finché si è in vita oppure darli via poco prima di morire”: così Daniel Craig, lo 007 di Hoolywood che da poco è divenuto l'attore più pagato al mondo, non prima di un mese fa. Se in ordine cronologico è l'ultima celebrità ad avere reso pubblica la ”scandalosa decisione”, non è certo il primo ad averlo fatto. Oltreoceano nomi dal calibro di Warren Buffet e Bill Gates - due la cui ricchezza si conta non in milioni, ma in miliardi - sono dello stesso avviso. Anche in Italia, un paese dalla mentalità piuttosto diversa, esiste chi la pensa così. Da ultimo è Luca Barbareschi ad avere fatto dichiarazioni del genere.

Durante la Vita in Diretta lo scorso giugno, incalzato dalle domande del giornalista, ha così sentenziato: “Ho deciso che non lascerò niente a miei figli. Darò in eredità i miei averi a qualche fondazione che fa opere di bene. Perché? Ho dato loro un'istruzione fuori dal comune, nelle migliori università dal costo di 900mila euro in cinque anni. Per questo ho deciso di non lasciare loro niente. Dopo gli studi se la devono cavare da soli, ho visto i figli dei miei amici essere viziati”

Ma al netto delle dichiarazioni televisive è davvero possibile privare la propria prole dell'eredità?

“Innanzi tutto, deve essere fatta una distinzione di carattere generale tra paesi di common law e quelli di civil law”, spiega Davide Davico, General Counsel del Gruppo Ersel. Nei paesi anglosassoni, è percepita, da parte di piccoli e grandi imprenditori, un'esigenza di carattere etico e sociale di rimettere in circolo gran parte dei capitali attraverso lasciti benefici. A tale desiderio corrisponde, di regola, una disciplina giuridica che non attribuisce ai figli alcun diritto sul patrimonio dei genitori. “In questi paesi viene tutelata la libertà del de cuius di disporre liberamente dei propri beni”, spiega Davico che sottolinea come in alcuni celebri casi il 99% dell'eredità vada in filantropia e solo l'1% del patrimonio venga, invece, devoluto alle generazioni successive.

Al contrario negli ordinamenti di civil law la situazione è opposta. A livello sociale, la priorità più avvertita è che i genitori assicurino ai figli una certa serenità, anche economica, attraverso la trasmissione del patrimonio familiare accumulato e questo “sentire comune” trova riscontro in una corrispondente tutela giuridica patrimoniale. In Italia, per esempio, vige l'istituto dei legittimari – figli, coniuge e, in mancanza, ascendenti – che hanno diritto di ricevere al momento dell'apertura della sua successione una quota del patrimonio del disponente, anche contro la volontà dello stesso cd. quota di legittima. “In questo caso il de cuius, a seconda del numero di legittimari presenti al momento dell'apertura della successione, potrà disporre liberamente solo di una quota  del proprio patrimonio” spiega Davico.

L'ordinamento italiano prevede a tutela del legittimario che sia stato leso nella sua quota di legittima o, addirittura, pretermesso a livello testamentario l'azione di riduzione. Non solo, “agli eredi legittimari è concessa la possibilità di far rientrare nell'asse ereditario, dopo l'apertura della successione del de cuius, anche di beni donati in vita da costui” spiega Davico che in ogni caso ricorda che il termine per l'esercizio dell'azione di riduzione è di 10 anni.

In pratica, a meno che gli eredi legittimari non condividano le scelte del de cuiuis in merito all'attribuzione dell'asse ereditario e consapevolmente rinuncino pertanto alla qualità di eredi o alla proposizione di azioni di riduzione, l'ordinamento privilegia la trasmissione del patrimonio all'interno della famiglia piuttosto che la libertà di perseguire, attraverso donazioni o lasciti testamentari, interessi, anch'essi sicuramente meritevoli, quali quelli filantropici.

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Davide Davico

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del 16-set-2021
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