Novembre è stato caratterizzato, a differenza dei mesi precedenti, da dati di crescita e inflazione in calo e sotto le attese negli USA. In moderazione anche i dati sul mercato del lavoro con i Nonfarm Payrolls di ottobre a 150.000 nuovi occupati dai 297.000 del mese precedente, e sotto i 180.000 attesi dagli analisti. Il tasso di disoccupazione è salito leggermente al 3.9%, rimanendo tuttavia in prossimità dei minimi storici. L’indice dei prezzi al consumo di ottobre è stato più basso del mese precedente e leggermente sotto le attese degli analisti per via del calo dei prezzi dell’energia e di una moderazione del ritmo di crescita dei prezzi degli alloggi. Dalle vendite al dettaglio, sebbene in calo rispetto al mese precedente, ha continuato ad emergere una resilienza dei consumi superiore alle attese con il dato headline di ottobre che è sceso dello 0.1% e il dato “core” salito dello 0.1%. La produzione industriale di ottobre ha segnato -0.6% rispetto ai livelli del mese precedente. Per quanto riguarda i sondaggi sulle prospettive economiche, abbiamo avuto un ISM manifatturiero che dopo aver quasi raggiunto la neutralità è tornato in territorio di contrazione a 46.7, con la componente prezzi pagati che è salita a 45.1 da 43.8 del mese precedente. In calo anche l’ISM sui servizi a 51.8 da 53.6, sotto le attese degli analisti. Risultati differenti sono emersi dai PMI che, per il mese di novembre, hanno mostrato un’economia intorno alla neutralità con il manifatturiero a 49.4 e i servizi a 50.8. La Fed nel FOMC di novembre non ha modificato i tassi di policy, pur mantenendo un approccio data-dependent teso a verificare l’evoluzione dell’impatto del tightening delle condizioni finanziarie e della politica monetaria sull’economia.
L’inflazione di ottobre è uscita più bassa sia rispetto alle attese sia rispetto al mese precedente sul dato headline al 2.9%, mentre sostanzialmente stabile sul dato core, a 4.2%. Dagli indicatori anticipatori è emerso un ulteriore peggioramento delle prospettive sulla crescita, con manifatturiero e servizi in territorio di contrazione. I dati macroeconomici meno aggiornati hanno mostrato una produzione industriale in calo dell’1.1% a settembre, e vendite al dettaglio scese dello 0.3% rispetto al mese precedente. Il mercato del lavoro è rimasto sostanzialmente stabile, con un tasso di disoccupazione fermo sui minimi storici, al 6.5%. Nel meeting di fine ottobre la BCE ha mantenuto invariati i tassi di policy e ribadito l’approccio data-dependent sebbene con toni più cauti sulla crescita e senza modifiche alla politica di reinvestimento del PEPP, nonostante se ne stia iniziando a parlare all’interno del Governing Council.
La Cina continua a pesare negativamente sui mercati emergenti, ma recentemente si è stabilizzata in un intorno del 5% in termini di crescita, mentre abbiamo una buona tenuta delle altre aree nel quarto trimestre dell’anno. Riassorbita la sorpresa iniziale per la guerra israelo-palestinese, che aveva fatto lievitare il prezzo del petrolio, la disinflazione in atto in gran parte dei paesi sviluppati ha ripreso anche nei paesi emergenti. Un elemento in più a complicare il lavoro che attende le banche centrali dei mercati emergenti, poiché i policy maker dei mercati sviluppati sembrano convergere sull’orientamento secondo cui i tassi rimarranno più alti più a lungo. I cicli di tagli più grandi nei prossimi 2 anni sono prezzati in Latam e CEE; tra tutti i paesi emergenti, la maggior parte dei tagli sono previsti per il 2024, sebbene siano già scontati tagli profondi anche nel 2025 per Messico e Polonia.
Nel mese abbiamo avuto un’importante evoluzione politica in in Argentina, Milei ha vinto il ballottaggio contro il ministro delle Finanze in carica Massa con un ampio margine (10% pt), ben al di sopra di quanto suggerito dai sondaggi. Per tutta la campagna Milei ha trasmesso un messaggio di forte spinta riformista, l’evoluzione politica di questo paese avrà un’influenza su tutta l’area latinoamericana nei prossimi mesi.
Più in particolare la crescita nominale dei paesi sviluppati è attesa in rallentamento rispetto agli anni post Covid ma ancora superiore rispetto a quella potenziale in particolare negli Stati Uniti. La crescita dei paesi emergenti è attesa stabile ma fortemente condizionata dalla Cina che appare ancora in una fase di ristrutturazione della propria economia a causa delle difficoltà del settore immobiliare.
L’inflazione, che della crescita nominale sarà la parte preponderante nei paesi sviluppati, è vista in rallentamento, anche se la traiettoria di rientro verso gli obiettivi delle banche centrali è tutta da verificare alla luce delle dinamiche del mercato del lavoro. Le politiche monetarie hanno intrapreso un percorso di normalizzazione per far fronte alle dinamiche inflattive dovute sia all’uscita dal Covid sia per disinnescare una potenziale spirale prezzi salari indesiderata in particolare nei paesi sviluppati.
Gli ultimi dati pubblicati a livello macroeconomico mostrano un quadro di riferimento fortemente differenziato tra le diverse aree geografiche: gli Stati Uniti rappresentano l’area in miglior salute grazie alla robustezza dei consumi interni, un mercato del lavoro in buona salute, con squilibri domanda offerta che vanno riducendosi e la solidità degli investimenti malgrado la risalita dei tassi che, sulla base anche delle indicazioni della Fed dovrebbero aver raggiunto sostanzialmente il picco.
Per quanto riguarda l’Europa le dinamiche di crescita mostrano dati molto meno brillanti a causa di un’economia strutturalmente meno dipendente dai consumi interni, che peraltro cominciano a faticare a causa di dinamiche reddituali reali meno forti rispetto agli Stati Uniti e per il rallentamento del commercio internazionale e della Cina in particolare. D’altro canto, anche la politica monetaria della Ecb pare aver raggiunto il picco nell’azione restrittiva in attesa di valutarne gli effetti in termini di dinamiche macroeconomiche.
Il Giappone ha intrapreso una politica monetaria e fiscale fortemente espansiva ed ha beneficiato di una valuta fortemente deprezzata. La crescita, tuttavia, dovrà trovare un supporto dalle dinamiche internazionali che al momento sembrano essere meno robuste a fronte di una banca centrale che nei prossimi mesi potrebbe abbandonare una politica monetaria che appare sempre meno giustificata dal livello d’inflazione prevalente.
Per l’area dei emergenti il quadro di riferimento è molto differenziato e non privo di incertezze. Nel complesso le dinamiche di crescita economica permangono meno brillanti rispetto a quelle dei paesi c.d. sviluppati per una combinazione di minor stimolo fiscale e monetario a cui si aggiungono dinamiche di minor crescita del commercio internazionale. Con specifico riferimento alla Cina, che dei paesi emergenti è quello con il maggior “peso specifico”, pur in una fase di rimbalzo dovuta al venir meno del Covid, resta impegnata in un complesso riequilibrio della crescita verso i consumi interni e di potenziamento ulteriore del know-how mentre si trova a dover affrontare il ridimensionamento del settore immobiliare in una fase di minor collaborazione internazionale (deglobalizzazione).
Alla luce di quanto sopra, riteniamo il mercato azionario sia complessivamente correttamente valutato in funzione dei tassi d’interesse prevalenti, ma presenti ancora margini di correzione, in particolare con riferimento al mercato statunitense. Tra gli elementi di incertezza citiamo in particolare i margini di profitto aziendali ovvero l’andamento delle economie extra Usa. Il mercato europeo risulta essere più a sconto e sottovalutato rispetto a quello statunitense con particolare riferimento alla marginalità delle aziende che beneficiano del venir meno delle pressioni sul fronte energetico e per gli effetti positivi sui bilanci bancari derivanti dall’innalzamento dei tassi. D’altro canto, le dinamiche macroeconomiche sopra citate ne minano l’appetibilità. Meno costruttiva la valutazione sui mercati emergenti alla luce, oltre che delle considerazioni macro sopra esposte, delle tensioni geopolitiche e del minor livello di tutele a livello di governance. Per tale motivo riteniamo debba essere mantenuto un peso azionario coerente al profilo di rischio complessivo, privilegiando l’area dei paesi sviluppati, rispetto agli emergenti e società di elevata qualità, leader dei rispettivi settori di riferimento e quindi in grado di mantenere adeguati livelli di redditività (pricing power).
Tra gli investimenti obbligazionari, riteniamo opportuno mantenere la duration di portafoglio bassa rispetto ai parametri di riferimento in particolare sulle scadenze più lunghe in generale ed in Europa in particolare. Le emissioni societarie presentano spread complessivamente contenuti o comunque non sufficienti da compensare il rischio associato in particolare nel segmento high yield e riteniamo quindi che l’approccio da adottare debba essere estremamente selettivo. Maggiori opportunità sono individuabili in ambito investment grade e nel comparto delle emissioni subordinate di emittenti solidi.
In un contesto come quello descritto riteniamo che debbano trovare maggior spazio nell’allocazione dei patrimoni investimenti obbligazionari di durata breve volti a sfruttare questa fase del ciclo dei rialzi delle banche centrali ed approcci d’investimento alternativi, opzionali e/o flessibili e dinamici in ambito azionario.
Nel corso del periodo i mercati azionari, dopo una prima fase di recupero, sono tornati sui minimi, penalizzata dai timori relativi ai tassi ed al rallentamento dell’economia. Tali timori sono stati peggiorati dalla crisi in Israele che ha portato ad un nuovo rialzo del prezzo del petrolio. I mercati restano inoltre in attesa dei risultati del terzo trimestre ed in particolare delle indicazioni relative alla fine dell’anno.
In particolare, hanno performato bene i bancari ed i petroliferi, mentre hanno sottoperformato gli industriali ed i tecnologici.
Nell’ultimo mese i titoli migliori sono stati i petroliferi come Tenaris e Saipem, oltre ai bancari come Banco Popolare ed ai finanziari come Nexi. Fra i peggiori abbiamo Telecom Italia, Mediobanca ed industriali come Prysmian.
Novembre è stato un mese molto positivo per gli asset rischiosi, con l’SP500 che ha segnato un +8.9%, miglior performance dal luglio del 2022, e lo Stoxx50 che ha segnato un +7.9%, ma soprattutto per i tassi, con il treasury americano che mette a segno il miglior ritorno mensile dal 1985. Sui tassi abbiamo assistito infatti al primo vero rimbalzo da marzo, con il rendimento del decennale americano che a metà ottobre rendeva il 5% e che oggi invece scambia sotto il 4.30%, e con il bund tedesco che è passato dal 3% al 2.40%.
I motivi per questi cali repentini nei rendimenti sono sostanzialmente due: una revisione al ribasso nelle aspettative di crescita e un’anticipazione di un orientamento meno restrittivo di politica monetaria da parte sia della FED che della BCE. Riguardo a quest’ultimo punto, nei tassi di mercato a breve termine sono ormai prezzati 5 tagli dei tassi per la FED e 4 tagli per la BCE nel corso del 2024. Anche il credito ha messo a segno performance notevoli nel corso del mese con l’High Yield europeo che fa registrare un ritorno del 3% e l’Investment Grade che si piazza poco dietro, con un +2.50%. La discesa dei tassi, accompagnata dal repricing della politica monetaria, ha portato a un deprezzamento del dollaro a favore delle altre valute del G10, in primis corona svedese, dollaro neozelandese e dollaro australiano, più legate al ciclo economico.
Risultati conseguiti dai principali mercati azionari nel periodo di riferimento:
Stato | Indice | Variazione % dal 26/10/2023 al 27/11/2023 |
---|---|---|
STATI UNITI | DOW JONES | +7,8% |
STATI UNITI | S&P 500 | +10,0% |
STATI UNITI | NASDAQ | +13,1% |
GIAPPONE | TOPIX | +7,1% |
HONG KONG | HANG SENG | +2,8% |
TAIWAN | TAIEX | +6,6% |
KOREA | KOSPI | +8,6% |
MESSICO | BOLSA | +6,2% |
ARGENTINA | MERVAL | +25,3% |
BRASILE | BOVESPA | +9,5% |
INGHILTERRA | FTSE 100 | +1,4% |
GERMANIA | DAX | +8,4% |
FRANCIA | CAC 40 | +5,5% |
SVIZZERA | SMI | +4,4% |
ITALIA | S&P/MIB | +6,7% |
SPAGNA | IBEX 35 | +10,9% |
Total return degli indici obbligazionari EFFA dei titoli di Stato e variazioni delle principali valute contro euro:
Stato | Variazione % dal 26/10/2023 al 27/11/2023 |
---|---|
STATI UNITI | +2,8% |
GIAPPONE | +1,2% |
INGHILTERRA | +3,7% |
AREA EURO | +2,8% |
Stato | Variazione % dal 26/10/2023 al 27/11/2023 |
---|---|
USD/EUR | -3,7% |
YEN/EUR | -2,8% |
GBP/EUR | +0,3% |
Il clima della Terra continua a macinare record. Non si tratta però di primati positivi bensì di trend negativi: lo scorso 17 novembre di quest’anno, per la prima volta, la temperatura media del pianeta ha superato i due gradi al di sopra dei livelli dell’epoca preindustriale.
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