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Da qualche mese i mercati stanno affrontando venti contrari. Le incognite sono tante ma a prendere il sopravvento sono state soprattutto le preoccupazioni sull’inflazione e sull’accelerazione nel processo di aumento dei tassi d’interesse da parte delle Banche centrali. 

Uno scenario inedito

Focus

Gli effetti della guerra

Il conflitto ha aggiunto un pesante elemento di incertezza e potrebbe frenare l’attività economica in alcune aree, in particolare in Europa. Ha inoltre contribuito a spingere ancora più in alto i prezzi delle materie prime, a cominciare dal petrolio e dal gas naturale, e a far salire i prezzi dei beni alimentari.

L’incertezza è grande e non passa giorno senza che venga diffusa una nuova valutazione dell’attuale scenario economico. Nel complesso manca un modello di riferimento per decifrare lo scenario economico dei nostri giorni.

I tassi d’inflazione sono saliti in poco tempo sopra quota 7% mentre i tassi d’interesse sono poco sopra allo zero. Non era mai successo prima d’ora. I banchieri centrali, i grandi economisti e gli analisti di Borsa sono alla ricerca di una bussola per navigare nel nuovo contesto. 

Il conflitto Russia-Ucraina ha complicato un quadro generale già difficile. Il risultato è stato una forte accelerata della corsa dell’inflazione che era già in crescita sugli effetti del post lockdown. La lotta all’inflazione è ancora più nel mirino. Gli occhi dei mercati sono puntati in particolare sull’andamento dei prezzi negli Stati Uniti mentre il comportamento di acquisto delle famiglie Usa è l’osservato speciale. Nel Paese il tasso d’inflazione è straordinariamente sui massimi degli ultimi 40 anni. Nel mese di aprile il livello ha registrato un leggero calo (a +8,3% da +8,5% di marzo) ma è comunque risultato superiore alle attese.

Questo andamento dei valori al consumo è seguito molto da vicino dagli operatori. Serve a capire quanto aggressive saranno le prossime mosse della Federal Reserve, la Banca centrale americana. Diversi membri dell’Istituto centrale Usa hanno ribadito il messaggio del chairman Jerome Powell sulla possibilità di rialzi dei tassi di interesse da mezzo punto percentuale nelle riunioni di giugno e luglio. Intanto il Paese si sta avvicinando al momento delle elezioni di metà mandato, che si terranno a novembre. Questo aspetto fa pensare che nei prossimi mesi la pressione politica sulla Fed, per far scendere il tasso d’inflazione, non potrà che aumentare. 

Lo sguardo di tutto il mondo è rivolto alle mosse che faranno i banchieri centrali Usa. Uno degli interrogativi più importanti che gli operatori si pongono è se la Federal Reserve sarà capace di operare in modo tale da portare l’economia del Paese verso un atterraggio morbido. O se invece un atterraggio duro è più probabile visto il rialzo accelerato dei tassi in arrivo. Il timore è che con un aumento troppo aggressivo del costo del denaro Usa, e dunque della spesa richiesta per i finanziamenti, le prospettive di crescita delle aziende e dell’economia peggiorino, fino a causare una recessione. 

Nella riunione del 3 e 4 maggio, la Fed ha alzato i tassi di interesse di 50 punti base, portandoli nel range 0,75-1%. Si è trattato della mossa più aggressiva dal 2000. Due aumenti da 50 punti base nei prossimi due mesi porterebbero i tassi all’1,75-2%. L’idea è di riuscire a riavvicinare l’inflazione all’area dei due punti percentuali. Al momento sembra essere questa la questione centrale. A tenere alta l’attenzione è anche l’andamento del dollaro che a metà maggio ha raggiunto i massimi degli ultimi cinque anni sull’euro. Contemporaneamente l’indice del biglietto verde si è arrampicato su vette che non vedeva da venti anni. 

Il dollaro americano ha attualmente una valutazione relativamente elevata, sostenuta dalle aspettative di rialzo dei tassi d’interesse, da un livello di rendimento generalmente più alto sul mercato obbligazionario statunitense rispetto alle obbligazioni di altri Paesi e naturalmente anche dai flussi verso i beni rifugio dovuti alla guerra in Ucraina. Se la Fed come probabile aumenterà i tassi a ogni riunione che ci sarà nel corso di quest’anno, allora favorirà l’attuale sopravvalutazione del biglietto verde. Per l’Europa si tratterà di una grana in più. L’euro debole rischia infatti di creare un circolo vizioso proprio con l’inflazione, che in Europa deriva in gran parte dal prezzo di beni importati.

Per la Banca centrale europea (Bce) il cammino verso il rialzo dei tassi diventerà più problematico. Nel frattempo un ritorno al modello della vecchia normalità non è in vista. La globalizzazione, uno dei grandi motori che hanno spinto i mercati azionari negli ultimi decenni, sta entrando in un’era che è stata chiamata di antagonismo sistemico intensificato, tra l’Occidente e un blocco di regimi nazionalisti dell’Estremo Oriente, con Cina e Russia al centro. Invece di un’apertura progressiva, l’attenzione è ora nuovamente rivolta alla demarcazione. A soffrire sarà il commercio internazionale e l’attività economica, e i riflessi potrebbero presto arrivare sui prezzi al consumo. Il quadro è ancora tutto in divenire e ci vorrà molto tempo perché si arrivi a una nuova stabilità. Certo è che il percorso intrapreso è tutto inesplorato.

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