A febbraio, a fronte di un moderato miglioramento del quadro macro e di toni meno accomodanti da parte dei membri delle banche centrali, i tassi sono risaliti portando ad un significativo repricing delle aspettative sui tagli. I Nonfarm Payrolls di gennaio hanno segnato una risalita del numero di nuovi occupati a 353.000 sopra i 333.000 del mese precedente, e oltre i 185.000 attesi dagli analisti. Il tasso di disoccupazione è rimasto stabile a 3.7%, sotto le attese di 3.8%, in prossimità dei minimi storici. L’indice dei prezzi al consumo anno su anno di gennaio è salito oltre le attese sia sul dato Headline sia sul dato Core, supportato dai prezzi di alloggi e trasporti. Nel mese di gennaio è emerso per contro un calo delle vendite al dettaglio superiore alle attese: -0.8% da +0.6% del mese precedente a fronte di attese per -0.2% mese su mese. In moderazione anche la produzione industriale di gennaio a -0.1% in calo rispetto al mese precedente e sotto le attese degli analisti. Per quanto riguarda i sondaggi sulle prospettive economiche, abbiamo avuto un ISM manifatturiero in rientro verso la neutralità a 49.1 con la componente prezzi pagati che è tornata in espansione a 52.9 da 45.2. In risalita anche l’ISM sui servizi a 53.4 da 50.6 sopra le attese degli analisti. Risultati analoghi sono emersi dai PMI sopra la neutralità sia sul manifatturiero sia sui servizi. Dopo il pivot del FOMC di dicembre, nel meeting di fine gennaio la Fed ha comunicato la necessità di vedere nuove conferme del rientro a target dell’inflazione prima di mettere in programma un taglio dei tassi di policy. Nel corso del mese hanno continuato a prevalere toni meno accomodanti tra le dichiarazioni dei membri della banca centrale portando ad una revisione delle aspettative sui tassi. Il mercato attualmente prezza 3 tagli per il 2024 con una probabilità poco superiore al 50% di osservare i primi nel FOMC di giugno.
L’inflazione di dicembre è uscita sostanzialmente sui livelli del mese precedente in linea con le attese con il dato headline a 2.8% e il dato core a 3.3%. Gli indicatori anticipatori hanno osservato un marginale miglioramento sul manifatturiero, continuando tuttavia a segnalare prospettive di contrazione dell’economia. I dati macroeconomici meno aggiornati hanno mostrato vendite al dettaglio in calo dell’1.1% rispetto al mese precedente, mentre la produzione industriale è risalita del 2.6% mese su mese. Il mercato del lavoro è rimasto sostanzialmente stabile, con un tasso di disoccupazione sui minimi storici, al 6.4%. Nel meeting di fine gennaio la BCE ha dichiarato che è ancora prematuro parlare di tagli. È stato riconfermato un approccio data dependent teso a monitorare il rientro dell’inflazione considerando inoltre il potenziale impatto della crisi del mar Rosso sui prezzi dell’energia. Il mercato ha rimodulato le aspettative sui tassi prezzando 4 tagli per il 2024 con una probabilità superiore al 70% di osservare i primi tagli alla riunione di giugno.
Dopo un andamento per il 2023 decisamente positivo per l’area emergente, +4.10% di crescita, nonostante per buona parte dell’anno la Fed abbia continuato a stringere le condizioni finanziarie, il 2024 si è aperto con dati macro americani migliori delle attese e un conseguente ripricing della possibilità – anche per buona parte delle banche centrali dei Paesi EM – di tagliare i tassi velocemente. L’inflazione si conferma altamente sincronizzata, con il picco che è stato raggiunto appena post-Covid nei mercati emergenti, guidato principalmente da forze macro comuni ai paesi sviluppati, piuttosto che da ragioni idiosincratiche. Il quadro disinflazionistico iniziato a metà dell’anno scorso dovrebbe continuare ulteriormente, permettendo quindi politiche monetarie espansive in sintonia con quanto prezzato per la Fed e le principali banche centrali dei G7. Solo nell’ultimo mese, Cile, Brasile, Perù e Colombia hanno ridotto i tassi ufficiali rispettivamente di 100, 50, 50 e 25 bps. Nonostante questo, la maggior parte dei tassi ufficiali reali dei mercati emergenti sono ancora sostanzialmente più alti di quelli dei mercati sviluppati, il che è molto significativo del maggior spazio per ulteriori tagli nel corso della seconda metà dell’anno. Il rating creditizio medio delle economie emergenti sensibili alle materie prime, compreso il Sud Africa e i paesi dell’America Latina si è notevolmente deteriorato negli ultimi tempi anni. Molti di questi paesi soffrono di una cronica carenza di risparmio interno e bassa produttività dovuta a numerosi fattori idiosincratici. I prezzi bassi delle materie prime negli ultimi anni hanno poi dato il colpo di grazia alle finanze pubbliche e portato a continui downgrade da parte delle agenzie di rating. Guardando al futuro, le materie prime però stanno diventando un fattore favorevole per la sostenibilità del debito di questi paesi.
Più in particolare la crescita nominale dei paesi sviluppati è attesa in rallentamento rispetto agli anni post Covid ed inferiore rispetto a quella potenziale sia negli Stati Uniti sia in Europa con il solo Giappone che potrebbe invece sperimentare una crescita nominale in accelerazione. La crescita dei paesi emergenti è attesa stabile ma fortemente condizionata dalla Cina che appare ancora in una fase di ristrutturazione della propria economia a causa delle difficoltà del settore immobiliare e dalle dinamiche del commercio internazionale.
L’inflazione, che della crescita nominale sarà la parte preponderante nei paesi sviluppati, è in rallentamento, anche se la traiettoria di rientro verso gli obiettivi delle banche centrali è ancora sotto attenta osservazione alla luce delle dinamiche del mercato del lavoro. Le politiche monetarie hanno intrapreso un percorso di normalizzazione e nel caso degli Stati Uniti si sono spinte in area di restrizione per far fronte alle dinamiche inflattive dovute sia all’uscita dal Covid sia per disinnescare una potenziale spirale prezzi salari indesiderata in particolare nei paesi sviluppati. Nel corso dell’anno, se tali dinamiche saranno confermate, ci si può attendere una riduzione dei tassi di mercato monetario che riportino i tassi reali su livelli meno restrittivi.
Gli ultimi dati pubblicati a livello macroeconomico mostrano un quadro di riferimento fortemente differenziato tra le diverse aree geografiche: gli Stati Uniti rappresentano l’area in miglior salute grazie alla robustezza dei consumi interni, un mercato del lavoro in buona salute, con squilibri domanda offerta che vanno riducendosi e la solidità degli investimenti malgrado la risalita dei tassi che, sulla base anche delle indicazioni della Fed dovrebbero aver raggiunto sostanzialmente il picco.
Per quanto riguarda l’Europa le dinamiche di crescita mostrano dati molto meno brillanti a causa di un’economia strutturalmente meno dipendente dai consumi interni, che peraltro cominciano a faticare a causa di dinamiche reddituali reali meno forti rispetto agli Stati Uniti e per il rallentamento del commercio internazionale e della Cina in particolare. D’altro canto, anche la politica monetaria della Ecb pare aver raggiunto il picco nell’azione restrittiva in attesa di valutarne gli effetti in termini di dinamiche macroeconomiche.
Il Giappone ha intrapreso una politica monetaria e fiscale fortemente espansiva ed ha fortemente beneficiato di una valuta fortemente deprezzata. La crescita, tuttavia, dovrà trovare un supporto dalle dinamiche internazionali che al momento sembrano essere meno robuste a fronte di una banca centrale che nei prossimi mesi potrebbe abbandonare una politica monetaria che appare sempre meno giustificata dal livello d’inflazione prevalente.
Per l’area degli emergenti il quadro di riferimento è molto differenziato e non privo di incertezze. Nel complesso le dinamiche di crescita economica permangono meno brillanti rispetto a quelle dei paesi sviluppati per una combinazione di minor stimolo fiscale e monetario a cui si aggiungono dinamiche di minor crescita del commercio internazionale. Con specifico riferimento alla Cina, che dei paesi emergenti è quello con il maggior “peso specifico”, pur in una fase di ripresa, resta impegnata in un complesso riequilibrio della crescita verso i consumi interni e di potenziamento ulteriore del know-how mentre si trova a dover affrontare il ridimensionamento del settore immobiliare in una fase di minor collaborazione internazionale (deglobalizzazione).
Alla luce di quanto sopra, riteniamo il mercato azionario sia complessivamente correttamente valutato in funzione dei tassi d’interesse prevalenti, ma presenti ancora margini di correzione, in particolare con riferimento al mercato statunitense. Tra gli elementi di incertezza citiamo in particolare i margini di profitto aziendali ovvero l’andamento delle economie extra Usa. Il mercato europeo risulta essere più a sconto e sottovalutato rispetto a quello statunitense con particolare riferimento alla marginalità delle aziende che beneficiano del venir meno delle pressioni sul fronte energetico e per gli effetti positivi sui bilanci bancari derivanti dall’innalzamento dei tassi. D’altro canto, le dinamiche macroeconomiche e le incertezze sul fronte geopolitico sopra citate ne minano l’appetibilità. Meno costruttiva la valutazione sui mercati emergenti alla luce, oltre che delle considerazioni macro sopra esposte, delle tensioni geopolitiche e del minor livello di tutele a livello di governance.
Per tale motivo riteniamo debba essere mantenuto un peso azionario coerente al profilo di rischio complessivo, privilegiando l’area dei paesi sviluppati, rispetto agli emergenti e società di elevata qualità, leader dei rispettivi settori di riferimento e quindi in grado di mantenere adeguati livelli di redditività (pricing power).
Tra gli investimenti obbligazionari, riteniamo opportuno mantenere la duration di portafoglio bassa rispetto ai parametri di riferimento in particolare sulle scadenze più lunghe in generale ed in Europa in particolare. Le emissioni societarie presentano spread complessivamente contenuti o comunque non sufficienti da compensare il rischio associato in particolare nel segmento high yield e riteniamo quindi che l’approccio da adottare debba essere estremamente selettivo. Maggiori opportunità sono individuabili in ambito investment grade e nel comparto delle emissioni dei finanziari subordinate di emittenti solidi.
In un contesto come quello descritto riteniamo che debbano trovare maggior spazio nell’allocazione dei patrimoni investimenti obbligazionari di durata breve volti a sfruttare questa fase del ciclo dei rialzi delle banche centrali ed approcci d’investimento alternativi, opzionali e/o flessibili e dinamici in ambito azionario.
Nel corso dell’ultimo periodo il mercato azionario italiano, dopo aver toccato nuovi massimi a fine 2023, ha iniziato un movimento di consolidamento laterale con una forte rotazione settoriale. A penalizzare in generale l’azionario il timore che il taglio dei tassi da parte delle banche centrali possa essere più lento rispetto alle attese. Si sta poi avvicinando la reporting season darà maggiori indicazioni sulle previsioni delle società sull’anno in corso.
A livello settoriale hanno performato bene i finanziari e gli industriali, mentre hanno faticato i petroliferi ed i difensivi.
Nell’ultimo mese i titoli migliori sono stati i finanziari come Monte dei Paschi, Mediobanca e Banca Mediolanum, gli industriali come Iveco e Leonardo. Tra i peggiori troviamo invece Campari, STM, Amplifon ed i petroliferi come Tenaris.
Il mese di febbraio ha confermato il momentum favorevole già evidenziato il mese scorso per gli asset rischiosi, con le borse che sia in USA che in Europa hanno continuato a far segnare nuovi massimi e il credito che ha continuato a stringere, soprattutto sui segmenti a più alto beta. I tassi hanno invece continuato a recepire l’arretramento nelle previsioni di tagli da parte delle due principali banche centrali mondiali, anche in conseguenza di dati macroeconomici migliori delle attese. Il decennale americano è passato dal 3.90% di inizio febbraio al 4.25%, mentre il bund è andato dal 2.15% al 2.50%. I tassi a breve hanno continuato a incorporare minori tagli; a fine mese entrambe le banche centrali erano prezzate per 75-100 bps di tagli nel corso del 2024. In questo contesto gli spread hanno stretto nuovamente, soprattutto sui titoli ad alto beta e sui subordinati. L’investment grade ha perso in media 1 punto, mentre high yield e subordinati hanno segnato un moderato progresso sia sui mercati in USD sia in area EUR. Tra i subordinati, i CoCo hanno registrato i migliori risultati con un rialzo positivo di circa mezzo punto.
In ambito valutario il dollaro si è apprezzato contro le restanti valute del G10: particolarmente penalizzate Yen (-2.74%) e Franco svizzero (-2.42%) per via dell’incremento del differenziale dei tassi. L’euro è riuscito sostanzialmente a tenere il passo del dollaro (-0.46%).
Risultati conseguiti dai principali mercati azionari nel periodo di riferimento:
Stato | Indice | Variazione % dal 25/01/2024 al 26/02/2024 |
---|---|---|
STATI UNITI | DOW JONES | +2,7% |
STATI UNITI | S&P 500 | +3,6% |
STATI UNITI | NASDAQ | +3,0% |
GIAPPONE | TOPIX | +5,6% |
HONG KONG | HANG SENG | +2,6% |
TAIWAN | TAIEX | +5,3% |
KOREA | KOSPI | -3,1% |
MESSICO | BOLSA | +0,1% |
ARGENTINA | MERVAL | -15,9% |
BRASILE | BOVESPA | +1,1% |
INGHILTERRA | FTSE 100 | +2,1% |
GERMANIA | DAX | +3,1% |
FRANCIA | CAC 40 | +6,2% |
SVIZZERA | SMI | +2,2% |
ITALIA | S&P/MIB | +8,0% |
SPAGNA | IBEX 35 | +2,2% |
Total return degli indici obbligazionari EFFA dei titoli di Stato e variazioni delle principali valute contro euro:
Stato | Variazione % dal 25/01/2024 al 26/02/2024 |
---|---|
STATI UNITI | -0,6% |
GIAPPONE | +0,8% |
INGHILTERRA | -0,3% |
AREA EURO | -0,6% |
Stato | Variazione % dal 25/01/2024 al 26/02/2024 |
---|---|
USD/EUR | -0,1% |
YEN/EUR | -2,0% |
GBP/EUR | -0,2% |
Con il suo leggendario “Whatever it takes”, Mario Draghi è considerato il salvatore dell'euro. La promessa dell'allora Presidente della Banca Centrale Europea di fare tutto il necessario per preservare la moneta unica ha segnato la svolta nella crisi del debito europeo nel 2012.
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