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La crisi del mese di agosto ha dimostrato quanto possa essere dirompente la relazione tra politica, finanza ed economia reale, sempre più interdipendenti tra loro.

La recessione del 2008 ha lasciato in eredità ai governi di molti paesi sviluppati una situazione di finanza pubblica decisamente critica. Di fronte a questo problema la risposta dei governi, sia negli Stati Uniti che in Europa, non è stata particolarmente efficace: negli USA l’accordo sul tetto del debito, raggiunto in extremis da Democratici e Repubblicani, ha messo in luce lo scollamento tra le esigenze dell’economia e le risposte che questa politica è in grado di offrire. 

L’accordo trovato, che pone l’accento sui tagli di breve termine senza incidere in maniera strutturale sul bilancio federale, né dal lato delle entrate né da quello delle uscite, è riuscito solo a ridurre la fiducia degli investitori sulla stessa leadership americana. In Europa il problema degli eccessi di finanza pubblica di alcuni paesi è da più di un anno nell’agenda della politica, senza che questa sia riuscita a fornire indicazioni, magari spiacevoli ma incisive, sulle vie d'uscita dalla crisi.

Si è finora preferito scegliere la strada dei compromessi tra i vari soggetti coinvolti - stati debitori e creditori, investitori privati, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario - sull’onda delle ripetute manifestazioni di stress provenienti dai mercati. La sfiducia degli investitori sulla capacità di indirizzo della politica si è così coagulata in un momento di significativo rallentamento economico nei paesi sviluppati, con la possibilità, paventata da alcuni commentatori, di un ritorno alla recessione. Questo ha determinato una revisione al ribasso delle prospettive di crescita per l’anno in corso e per il prossimo che probabilmente si rifletteranno in una minore redditività aziendale.

A fronte di una profittabilità corrente che si mantiene ancora dinamica, abbiamo dunque assistito ad una forte compressione delle valutazioni per i principali mercati azionari - e alla conseguente crescita dell’avversione al rischio - che hanno colpito una molteplicità di attività finanziarie, con le sole eccezioni di alcuni tipici beni rifugio quali l'oro e il franco svizzero. In Europa, dove si è verificato un pesante esodo di capitali stranieri, soprattutto americani, solo l’azione di sostegno della BCE ai titoli del debito pubblico italiano e spagnolo ha impedito un collasso ben più grave del mercato di questi titoli e di quelli bancari ad essi legati. Sui mercati azionari, dai massimi relativi di fine luglio si è registrato un calo di quasi il 10% per la borsa americana e di oltre il 17% per l’area euro. I titoli di stato italiani hanno visto un allargamento degli spread rispetto ai titoli tedeschi dai 200 punti di inizio anno ai 400 del momento di massima tensione, per ridiscendere poi a quota 300. Anche il mercato delle obbligazioni societarie europee è stato messo fortemente sotto pressione, con i livelli degli spread che hanno raggiunto, ed in alcuni casi superato, i massimi fatti registrare nella crisi del 2008. A titolo di esempio, sui titoli ad alto merito di credito, in particolare sui finanziari, si sono registrate perdite nell’ordine del 2-3%, e nell’ordine del 6-7% sui titoli societari ad alto rendimento.

Tali accadimenti hanno trovato un argine nella nostra politica di gestione, in quanto sui portafogli erano già state avviate significative operazioni di copertura della quota azionaria tramite opzioni e una sensibile diminuzione dell’esposizione alle obbligazioni societarie. Inoltre, anche dal lato del reddito fisso governativo la politica di gestione era da tempo improntata a minimizzare il rischio sui paesi periferici, Italia inclusa, in modo da attutire l'impatto derivante dall’allargamento degli spread.

Guardando avanti è necessario ripartire dal quadro economico e finanziario di riferimento e sulla base di questo impostare con coerenza i portafogli. Dal punto di vista dell’economia reale il rischio è che si inneschi un circolo perverso tra borse, fiducia di imprenditori e famiglie, decisioni di investimento e consumo. L’economia, prima della crisi dei mercati di agosto, non era chiaramente orientata verso la recessione ma piuttosto destinata a muoversi a tassi di crescita molto contenuti. Come le economie sviluppate possano reagire a tale shock di natura finanziaria non è di facile previsione, in quanto la componente di sentiment giocherà un ruolo fondamentale. La constatazione che almeno fino agli ultimi dati disponibili i livelli di occupazione, consumi ed investimenti, seppur in misura molto modesta, stiano continuando nel loro percorso di ripresa, unitamente al fatto che le banche centrali possano ancora offrire un adeguato supporto, ci porta a non considerare come scenario centrale un repentino ritorno alla recessione. Al contempo è bene non illudersi che si possa recuperare ampia visibilità sulle dinamiche economiche e finanziarie prossime venture, tanto più che alcuni rilevanti temi, su tutti la situazione di empasse istituzionale in cui verte l’Europa, non offrono per ora segni di miglioramento.

Questo implica, per quanto riguarda le decisioni di investimento, un atteggiamento ancora orientato alla prudenza che si concretizza principalmente in una limitata esposizione al mercato azionario, ottenuta anche con opzioni di copertura. Nell’ambito di tale esposizione, la scelta più saggia è ancora rappresentata dalla ricerca, attraverso prodotti e gestori con comprovata capacità di analisi, di quelle aziende capaci di conseguire posizioni di leadership internazionale nel proprio settore, poco sensibili al ciclo economico e tuttavia travolte come le altre da processi di vendita indiscriminati.

Anche per quanto riguarda il reddito fisso la nostra impostazione rimane conservativa, continuando a privilegiare forme molto liquide di investimento, mantenendo molto contenuta l’esposizione ai titoli di stato italiani e ai corporate europei, bancari in particolare, e allargando il campo di azione alle obbligazioni dei paesi emergenti, caratterizzati oggi da fondamentali relativamente più sicuri di quelli di molti paesi sviluppati. Infine, a questi livelli, non riteniamo profittevole inseguire i sorprendenti trend di rafforzamento dell’oro e del franco svizzero, in buona parte dovuti a movimenti che rischiano di invertirsi bruscamente una volta stemperati alcuni fenomeni di estrema avversione al rischio.
 

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